ArchivioDai tavoli di portfolio

IL GAUCHO POL – di  Paola Gallo Balma

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Il Gaucho è una delle figure più leggendarie, misteriose e a tratti romantica che si trova nelle diverse aree del Sud America. E’ definito come un abile cavaliere, un agricoltore e allevatore di bestiame; legato alle tradizioni nel modo di vestire e di vivere, un uomo con un carattere riservato, quasi malinconico e che ha un grande desiderio di libertà. Ancora oggi questo personaggio vive e lavora in ambienti rurali lontani chilometri dalla civiltà e predilige perlopiù una vita solitaria.
Nell’ estancia Rio Mitre, situata nelle infinite praterie della Patagonia, Pol, vero patagonico d’origine, ha scelto di vivere questa vita di solitudine, scandita dal tempo e dai diversi lavori quotidiani.
Quando sono arrivata in questa sorta di fattoria, la forte empatia instaurata da subito con Pol mi ha dato la possibilità di vivere a stretto contatto con lui per alcuni giorni e a poter guardare oltre al suo aspetto di un uomo di 68 anni consumato dal tempo e dalle fatiche di una vita. Per lui questo è un luogo in cui disperdere i ricordi dolorosi del passato, come la perdita della moglie e della figlia, dove allo stesso tempo tutto ciò che lo circonda, lo stesso amore verso gli animali, lo porta a “ricercarsi” e a “guardarsi dentro” ogni giorno.
Paola Gallo Balma
 
 

IL GAUCHO POL

di  Paola Gallo Balma

 
 

 
 

Campagna di tesseramento alla FIAF 2021

 

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5 commenti

  1. Bellissime! Foto che emozionano, che ti trasportano come per magia in quel mondo dai cieli di madreperla. E che dire della mano rugosa che accarezza il cavallo o allatta il piccolo? Tutto dà la sensazione di una vita ben vissuta. Complimenti!!!!!!!!!!!!!

  2. La pubblicazione di un portfolio dopo averlo visto ai tavoli di lettura, oltre che dargli visibilità, ha anche il senso di considerarlo nel suo valore assoluto, con la mente liberata dalla frenesia, delle tante letture che si succedono in un Concorso, che non lascia interiorizzare a fondo l’opera.
    “Il Gaucho Pol”si pone tra le opere a narrazione tematica di reportage, diventato un mito già nel “manifesto”(1936) di LIFE . Infatti del pensiero di quel magazine ha gli elementi del luogo remoto, e la rivelazione di una storia umana molto toccante.
    Di certo, per una giovane fotografa come Paola Gallo Palma, già andare a conoscere quella parte remota del mondo è una scelta forte, quella poi di fotografare la vita singolare di Pol è sicuramente una bella sfida con se stessi.
    Nel portfolio troviamo intrecciate diverse tematiche: il paesaggio della Patagonia visto dalla fazenda di Pol, il rapporto con gli animali e il lavoro solitario di quest’uomo colpito da un gravissimo lutto: la scomparsa prematura della moglie e della figlia.
    La condizione sofferta di questa persona sola, inevitabilmente è sempre tra le righe della narrazione fotografica scritta con un vigoroso B/N.
    Solo l’immagine dell’album di famiglia parla esplicitamente della moglie e la figlia; dopo nella narrazione, dell’uomo, ci mostra la sua solitaria reazione quotidiana all’avverso destino.
    Pol è narrato con rispetto della sua vita intima ed è invece colto esplicitamente nella sue peculiarità di Gaucho che fa tutto da solo per tenere governata la sua fazenda e nutre la sua affettività vivendo in armonia con gli animali.
    E’ una storia densa di forti sentimenti: di amori sofferti, di lotta per dare un senso alla propria vita oltre che vivere.
    Davanti a questo corposo tema, Paola Gallo Palma ha saputo rappresentare con un linguaggio consapevole la solennità del paesaggio, la vitalità del rapporto con gli animali e infine il proprio delicato accostamento alla vita di Pol. Complimenti!

  3. Condivido l’attenta ed esaustiva lettura di Silvano a cui voglio solo aggiungere che nel racconto fotografico si avverte un silenzio palpabile, perfettamente in linea con lo stile di vita, con il paesaggio e di fondo, con la sofferenza dell’uomo per la perdita dei propri cari.
    Un racconto toccante e intenso. Complimenti all’autrice.

  4. Resto sempre ammirata dalla visione di Silvano Bicocchi che sapientemente colloca un portpholio in un contesto culturale ampio e storico. E quindi, corroborata da questa visione, ancora di più il forte impatto/la pregnanza del lavoro di Paola Gallo Palma, mi spinge a riflessioni che, ancora una volta, corrono il rischio di una arbitraria gratuità e comunque pronte ad accoglierne di diverse, quanto altrettanto arbitrarie e gratuite.
    E’ una scelta di vita, che l’autrice ci offre, in assoluta controtendenza alla condizione di isolamento/solitudine, così come comunemente intesa, e vissuta come vera coercizione, limitazione indebita, immeritata condizione. Qui è scelta libera – o meglio lucida, in quanto di certo condizionata da particolari/certi eventi.
    Nei fotogrammi che ci raccontano di questa peculiare esistenza, danno impronta alla giornata di questo gaucho, e non solo, i diversi angoli di campo con cui l’autrice, di volta in volta, decide di abbracciare le visioni che si condensano in queste immagini.
    Al primo sguardo lo spazio smisurato in cui si svolge il racconto si dichiara in modo prepotente. Il grande angolo dell’obiettivo avvolge le montagne e convoglia il sole nascente verso le pietre che “sentiamo” fredde di notte, per il primo tepore.
    In continuità, sempre con lo stesso “sguardo”, è il gaucho al lavoro che appare risucchiare gli artefatti creati per potere vivere in quel luogo così aspro e crudo.
    Direi che l’obiettivo grandangolare qui evidenzia una sorta di naturale gerarchia dei bisogni/necessità che legano ad oltranza l’uomo all’ambiente naturale.
    Lo “sguardo” adesso inizia a stringersi e il segno che stiamo entrando in una intimità ce lo dà la posizione da cui si apre: l’abitazione del gaucho. Assistiamo vicinissimi ad un vibrante contatto/abbraccio/scambio fra tre cavalli e, per vicinanza/contiguità sicuramente voluta, carezza mi appare quella che il gaucho fa a se stesso guardandosi allo specchio.
    Gli altri esseri umani che “vivono” in quella casa ci appaiono in un album di fotografie e credo che, al bordo del fotogramma, quella mano con due dita strette vorrebbe toccarle ancora e, più vicino a sé, trattenere il filo che lo lega a quelle presenze. Lo “sguardo” si riallarga allora da parete a parete sulle azioni quotidiane indispensabili all’interno della casa, dignitosa nella sua essenzialità e per la cura ricevuta, di sicuro in onore anche di quelle Presenze, lì chiaramente stabili.
    Stabile, accogliente e accudente, è pure la sua relazione con gli animali domestici ma sempre al di fuori di quella domus che quindi appare come tempio, in cui vediamo il gaucho vivere in solitudine ora fattiva, ora assorta nel momento del riposo.
    E lo “sguardo” si spalanca ancora in misura tale che le montagne forzate ad arco curvino con sé le nuvole e la riserva d’acqua, ribadendo ancora quel legame vitale che spesso ignoriamo.
    Ritorna uno “sguardo” che si concentra, si stringe per necessità di senso, su dettagli che manifestano lo stretto legame tra l’uomo ed il cavallo. Quella mano che probabilmente sta compiendo la necessaria imbrigliatura non è serrata intorno alle redini ma aperta come una carezza sul capo del cavallo; di questo vediamo anche l’occhio ed è allora che la sensazione netta è quella non di un subordine ma di un “lavorare insieme” uomo e cavallo.
    A contestualizzare forse questo legame, il campo visivo si allarga nuovamente, e questa volta è un lungo camminamento, netto e dritto che non ammette tentennamenti e che sembra voler traforare quelle montagne pronte ad accoglierlo.
    Finalmente il gaucho ci guarda, con occhi acuti -forse con un lampo di serena sfida- che rimbalzano sui nodi di quella grezza imposta accanto al suo viso. E’ il primo fotogramma di una quartina che alternado l’ampiezza del campo visivo definisce/racconta di altri legami, in sequenza inversa a quella che caratterizza il rituale della uccisione di animali da allevamento. Di questa, mi colpiscono i due fotogrammi in cui è quasi identica la inquadratura ma in mezzo al campo si trovano, nella prima, uniche a fuoco carcasse di capre che sembrano sorgere da una fioritura di velli, nell’ultima invece, nella medesima posizione il gregge, ben vivo, in un campolungo quasi del tutto a fuoco. Tra le due a sancire il rito, il pugnale del gaucho è il protagonista.
    Mi chiedo se la sequenza inversa è una scelta che vuol sottolineare la ciclicità di questi eventi e/o la fine di qualcosa intesa come inizio d’altro, cioè necessaria Trasformazione.
    L’ultima toccante immagine ci mostra in una sorta di camera di decompressione dei sentimenti posta tra interno ed esterno della casa, aperta ma protetta e destinata al “nutrimento”, un unico momento di abbandono, accanto ad un piccolo di vitello -lo accarezza? questa è la mia sensazione anche se le braccia non sono protese- con sguardo che entra in territorio sacro con struggente, granitica melanconia.
    Eletta Massimino

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