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Ntuppatedde – di Daniele De Vita

 
 
 
 
 
 
 

E’ la mattina del 3 Febbraio, Catania inizia i festeggiamenti in onore della sua Santuzza: Agata vergini, martiri, e miraculusa. E tra il fragore di bande musicali e il dondolio di “candelore” ecco loro: le Ntuppatedde.
Come scrive il Verga “A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c’è la festa di Sant’Agata, -gran veglione di cui tutta la città è teatro- nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d’intrigare amici e conoscenti, e d’andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso”.
Fino alla seconda metà dell’ottocento “signore maritate e nubili che si mescolavano tra la folla dei devoti, travestite e irriconoscibili” andando tra i cittadini per giocare, sedurli, esigere regali, senza che i rispettivi padri o mariti potessero protestare”…e così godere di una libertà preziosa per un solo giorno durante l’anno, per un solo giorno l’anno essere padrone di se stesse ed esercitare il diritto di ntuppatedda. Poi furono proibite e dimenticate, l’ultima apparsa nel 1868 fu cacciata via e insultata.
Dal 2013 un’azione poetica e performativa ideata da un gruppo di performer e aperta tutte le donne, un’apparizione, un sommovimento, un sovvertimento estetico del femminile in una festa prettamente maschile, in una festa tutta per Agata, donna torturata e uccisa, che si fece amputare le mammelle pur di difendere il suo credo.
Le donne velate, nel loro bianco segreto la mattina del 3 febbraio appaiono dunque per le strade della città di Catania. Il loro incedere è misterioso e imprevedibile, fugge da ogni spiegazione e lascia tracce per una poetica visione. La loro figura riecheggia una memoria tra l’arcano e il divino: si mescolano come in un sogno, appaiono e scompaiono tra la folla, sempre in fuga, tengono stretto in pugno un garofano rosso, ricercano la danza, sono, oggi, la festa. Una festa in cui hanno deciso di invitarsi da sole e di tornare a manifestarsi in maniera simbolica dopo secoli di assenza.
Decisi di fotografare le Ntuppatedde nel 2017 su invito di Elena Rosa ideatrice del progetto.
Mi recai a Catania con uno zaino e una macchina fotografica e dormii nella casa dove l’indomani sarebbe avvenuta la preparazione delle donne vestite di bianco.
Il giorno successivo ero concentrato a cercare di raccontare questa apparizione che poco aveva a che fare con la festa, parallelamente sentivo qualcosa di strano in me, ero stato sedotto da una Ntuppatedda.
Oggi la casa che aveva accolto la preparazione delle Ntuppatedde è diventata la mia abitazione dove vivo insieme a una donna che ogni anno il 3 Febbraio si veste e vela di bianco.
Le immagini di questo portfolio sono state eseguite nel 2017, 2018, 2019 e 2020.
Daniele Vita

Ntuppatedde

di Daniele De Vita

 
 

 
 

Campagna di tesseramento alla FIAF 2021

 
 
 
 

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4 commenti

  1. Non parlerei di tradizione visto che le nduppatedde si vestivano di nero ed erano perfettamente nascoste ma di libera rievocazione di una tradizione.
    Carmine
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    1. La tradizione a cui si riferisce, col richiamo all’abito nero, appartiene (apparteneva) al Carnevale che seguiva la festa di Agata’
      Il nostro fotografo, come, peraltro, ha ben spiegato ha raccontato il gesto nuovo, ancorchè inserito nella tradizione del comportamento femminile delle cittadine catanesi, che, da qualche anno, saetta e fantasmaticamente attraversa la città storica.
      E’ un gesto forte eppur leggero; carico di significati politici, religiosi e di costume che inducono a riflettere.
      La sequenza dimostra che si può tornare alla grande e ricca tradizione delle feste religiose e rintracciarne le novità che parlano di inquietudini, denunce, provocazioni.
      Il linguaggio fotografico è solo apparentemente tradizionale: questa è la modernità di questa terra ed in ogni caso è funzionale a quanto ha rappresentato.
      Se provate a leggere l’ultimo numero della rivista “Fotografia è-e cultura” troverete come lo stesso stile e gli stessi contenuto ambientali hanno saputo espressivamente raccontare il Covid nella città.
      Da catanese, quindi complimenti e grazie. Pippo Pappalardo

  2. Non conoscevo questa “tradizione” (evidentemente rielaborata in chiave moderna e scenografica: il bianco risalta meglio) e mi sembra invece una presa di parola femminile in rito arcaici costruiti attorno alla società patriarcale. Il lavoro mi sembra mettere in luce proprio questo contrasto, questa forza dirompente della femminilità. Persino i forti contrasti che appaiono qua e là (la fotografia col prete, quella con la vecchina; solo per citarne due) sembrano dar voce alla libertà di queste donne, alla loro voglia di vivere da protagoniste, quasi da follette dispettose.

  3. Non parlerei di tradizione visto che le nduppatedde si vestivano di nero ed erano perfettamente nascoste ma di libera rievocazione di una tradizione

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