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Ossessione fotografica _ n.2. Davide Torbidi – a cura di Carlo Cavicchio

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Davide Torbidi: Urbex

 
Davide Torbidi in quattro anni ha percorso 70.000 km, fotografando in 181 luoghi diversi, tra il centro e il nord Italia.
È lui quindi il secondo autore che posso classificare tra gli “ossessionati” della fotografia; il secondo di una serie (mi auguro lunga) che cercherò di individuare tra gli amici fotografi per presentarli qui, su Agorà.
Come potremmo definirlo diversamente?
Quasi tutti i fine settimana con qualche amico viaggia per esplorare i posti “giusti” dopo una lunga ricerca fatta nei giorni precedenti.
Davide si dedica a quel tipo di fotografia che viene definita “urbex” (un’abbreviazione di urban exploration): cioè un piccolo gruppo di fotografi entra in un luogo abbandonato, per esempio una vecchia fabbrica, e all’interno fotografa ciò che si trova di fronte.
Ma certamente non è solo l’atto del fotografare ciò che spinge Davide e quelli come lui a girare l’Italia in cerca di luoghi abbandonati, parrebbe più una vera e propria performance artistica che si sviluppa in varie fasi:
– la ricerca tramite il web (anche questa ossessiva, rubando spesso il tempo al sonno) di luoghi adatti e non troppo sfruttati da altri fotografi.
– il viaggio con gli amici, si possono percorrere centinaia di chilometri in una domenica solo per giungere al posto ambito
– la fase di vera e propria intrusione nel luogo, intrusione non priva di rischi trattandosi spesso di proprietà private.
Qui gli aneddoti sono tanti ma ne cito solo uno che valga per tutti: essere sorpresi all’interno del luogo dal proprietario, o più facilmente del guardiano, può valere la minaccia di una fucilata. Ma passata una certa paura iniziale il tutto si risolve con la promessa di portare delle stampe di ciò che si è fotografato.
È una vera e propria esperienza, come direbbe il mio caro amico e maestro Fulvio Bortolozzo: questa è fotografia “nei” luoghi e non semplicemente fotografia “dei” luoghi.
Non parliamo di documentazione per carità, o di denuncia del degrado ma è innanzitutto un’esperienza estetica, la voglia di questi fotografi di portare a casa delle immagini che vanno a riempire il loro archivio, sono dei collezionisti di luoghi, come del resto amano definirsi.
È anche il frutto di un amore sincero per il territorio antropizzato, frutto ancora della curiosità e del ricordo dei giochi di quando si era ragazzini.
 

 
Davide infatti è vissuto nel lodigiano, zona ricca di posti da esplorare e ricorda quando scorazzando in biciletta con i gli amici si esploravano luoghi, ritenuti nell’animo di un ragazzo, inaccessibili o proibiti. In un mondo libero da cellulari e con poche paure, si usciva di casa dopo la scuola e soprattutto d’estate si rincasava all’ora di cena!
Ecco dunque che tutti queste sensazioni riaffiorano durante le lunghe giornate di esplorazione urbana.
Quante analogie vedo anche con il lavoro dei Becher:
amore per ciò che circonda il fotografo, voglia di catalogazione, creazione di un archivio senza fine, prelievo di una forma che è li già pronta … solo da prendere come Duchamp ci ha insegnato più di cento anni fa. Ma ancora come i Becher un rigore assoluto nel porsi di fronte alle cose sempre allo stesso modo con la stessa macchina fotografica con lo stesso obiettivo, senza cadere nell’errore di alcuni fotoamatori che un giorno zumano e l’altro usano l’otto millimetri “perché oggi mi piace così”. Per arrivare a un vero stato di ansia quando si acquista un nuovo obiettivo, la volontà infatti è di non modificare lo stile rispetto alle foto precedenti.
Non posso terminare questo breve articolo senza ricordare una cosa a cui Davide tiene molto: La prima regola da imparare per essere un Urban Explorer è avere il massimo rispetto per i luoghi visitati.
C’è un motto noto a ogni vero Urbex: “Non prendere altro che foto. Non lasciare niente se non impronte“.
Davide Torbidi è nato a Casalpusterlengo (LO) nel 1964, da alcuni anni vive a Codogno. Si è occupato a lungo di grafica per una multinazionale nel settore alimentare, maturando una significativa esperienza nel campo della comunicazione pubblicitaria.
Carlo Cavicchio
Tutor Fotografico FIAF
 
 

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6 commenti

  1. Un altro interessante post che “racconta di luoghi”.
    In questi anni sui nostri tavoli di lettura abbiamo potuto ammirarne parecchi. Evidentemente una ricerca che ha stimolato moltissimi fotografi. Trovo interessantissima l’osservazione di Carlo Cavicchio che la ricollega ad un bisogno, un ritorno alla gioia della scoperta che avevamo fin da bambini e che è importante non perdere. Al di là delle buone fotografie realizzate da Davide Torbidi, al piacere visivo che comunicano le attente composizioni e l’armonia cromatica penso sia proprio il messaggio creato dalla sua grammatica visuale, che ci lascia liberi di interpretare, la sua forza.
    Complimenti a Davide Torbidi e a Carlo Cavicchio.
    Orietta Bay

  2. Quando osservo opere fotografiche frutto di un lungo lavoro ossessivo, mi sembra di percepire un amore speciale e un grande rispetto da parte dell’autore nei confronti del tema. Mi associo completamente a quanto già affermato da Orietta Bay e aggiungo la necessità di sottolineare oltre ad una generale piacevolezza cromatica, la coerenza nella scelta della rappresentazione visiva, da parte di Davide, di rappresentare sì dei luoghi, ma nel farlo di eseguire dei ritratti esteticamente piacevoli di oggetti/soggetti immersi in un contesto. Le foto sono finite, il soggetto ben individuato, come ogni ritratto che si rispetti, i margini sono compiuti, le diagonali sono al posto giusto per dare stabilità ed equilibrio: niente è tagliato per far credere che la cosa continua oltre il rettangolo visivo. Concordo pertanto con Carlo Cavicchio: non mera documentazione ma gusto per il collezionismo di immagini particolari, esteticamente belle. Un’opera aperta destinata pertanto ad essere incompiuta.
    Bellissimo lavoro davvero. Complimenti a Davide.

  3. Beh, dato che parliamo di ossessioni metto in campo la mia: Ghirri, Ghirri, ancora Ghirri. Come non vedere l’interno di casa Benati in quel mappamondo? Oppure lasciarsi trasportare dalle due mappe murali alla copertina di “Viaggio in Italia” o ancora scorgere quella compostezza dello sguardo che accomuna questi scatti odierni a quelli.
    Certo, l’ossessione di catalogare che muove gli urbex non è esattamente quel che muoveva il reggio/modenese ma, a ben pensarci, un certo punto di contatto lo possiamo considerare: quella volontà di circoscrivere un paesaggio “urbano” da un differente punto di vista. Alle tapparelle “geometrili” possiamo affiancare la vetrata in fondo al corridoio; al doppio finestrone perfettamente circoscritto possiamo rispondere con le stanze della colonica emiliana sulla copertina di “Epica, Etica, Etnica, Pathos” dei CCCP (qui qualche notizia in più: http://www.conaltrimezzi.com/dialoghi-possibili-nella-campagna-emiliana/).
    Insomma, senza troppo distorcere le intenzioni dell’autore né la lettura perfetta di Cavicchio, il mio sguardo traccia un percorso di similitudine e di riconoscimento: dopo tutto, nelle ossessioni artistiche si può vivere e prosperare con risultati di gran soddisfazione. Complimenti!

  4. sono perfettamente d’accordo con Antonio Desideri.
    Sono andato a vedere il lavoro di Ghirri ‘Interno Italiano” e si trovano evidenti analogie anche con altre immagini.
    Uno degli aspetti più belli della fotografia, soprattutto per noi fotoamatori, penso sia il fatto che quando ci troviamo di fronte ad una situazione che ci ricorda qualcosa la riconosciamo e scattiamo!
    Ma del resto alcune visioni di Ghirri ricordano quella di Walker Evans, uno dei suoi punti di riferimento, sia per quelle immagini di interni che per altri lavori.
    Non so sinceramente quanto Davide Torbidi conosca quelle foto di Ghirri ma di sicuro la sua curiosità lo ha portato a vedere numerose mostre e a consultare altrettanti libri … quel tipo di visione oramai gli appartiene!

  5. Mi colpisce sempre quando penso all’affermazione di H.C.Bresson che dice che le cose sono in continua sparizione.
    Io penso che la consapevolezza di questo destino delle cose (e degli uomini) è una delle qualità importanti di un fotografo, perché può spostare la sua visione dal presente tout court, verso una prospettiva di narrazione storica.
    La pratica fotografica “Urbex” di Davide Torbidi si rapporta con il processo di sparizione delle cose. Mi pare che egli sia attirato dal brivido nel vedere come ciò avviene, spesso lentamente dando vita a scenari di abbandono che nessuno ha pensato.
    Il fascino del “non senso” che ha la realtà in decomposizione, alimenta l’immaginazione metaforica del fotografo che con la scelta visiva dà una significazione a questa realtà nascosta.
    Le sue immagini, di un realismo disarmante, trovano spazio nel grande universo surrealista dell'”oggetto trovato”.
    Tutto lo sforzo di rivelazione dell’autore si scarica nella sua scelta della rappresentazione fotografica.
    Vedo un grande rispetto per gli scenari da lui fotografati. Nonostante il degrado le immagini comunicano l’alito di vita che ancora scaldano le cose, i segni e i simboli.
    Stranamente trovo ancora presente l’eco del passato di altre vite e oggetti che potevano appartenermi in altre epoche che sembrano aspettarmi.
    Complimenti a Davide Torbidi per le sue rivelazioni e a Carlo Cavicchio che ce lo ha raccontato.

  6. Ringrazio sinceramente per come Carlo ha raccontato questa mia passione fotografica e per come mi ci ritrovo appieno nella sua descrizione. Si, spesso sfoglio libri di grandi maestri della fotografia ed è vero che spesso mi imbatto in immagini che pur differenti nel contesto e per quanto rappresentano ci vedo molte analogie con i miei scatti segno che inconsapevolmente ho assorbito metodo e inquadrature appartenenti o appartenute a fotografi anche molto famosi.
    Certo questo è un genere di fotografia che ti porta a rivivere, ad immaginare come fossero un tempo questi luoghi oggi abitati solo da polvere ma un tempo dove scorreva la vita dove si compivano azioni quotidiane, dove si amava, rideva e probabilmente anche soffriva.
    Spesso mi chiedono perché fotografare questo abbandono qual è lo scopo, la verità è che oggi dopo tanto tempo non ho una risposta o forse ne ho mille, posso solo dire che questa ossessione non mi lascia e penso che lo sarà ancora per molto.

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