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Ombre sospese – di Andrea Taschin

 
 
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A differenza del tavolo di lettura, la pubblicazione in un mezzo per così dire “editoriale” ha permesso ad Andrea di scegliere un’impaginazione dinamica nella quale l’accumulo, passo dopo passo, dei singoli frame fosse utile ad un miglior svolgimento del lavoro.
Da un punto di vista semantico, infatti, si produce quell’accumulo di senso che partendo dal vuoto vorticoso dell’immagine centrale produce per noi osservatori un cambiamento evidente: il vuoto assoluto del lockdown (ricordiamo che eravamo nei mesi primaverili del primo blocco) non è un pannello già deciso e definitivo ma si riempie poco alla volta di sparute presenze/assenze, di ombre solitarie che si dirigono, quasi senza saperlo/volerlo, verso un punto preciso che diventa pian piano anche il momento del ritrovarsi insieme, del voler tornare ad essere comunità di persone. Più succintamente: in questo modo seguiamo meglio il messaggio che l’autore ha voluto scrivere.
Dal punto di vista propriamente narrativo, poi, possiamo leggere capitolo dopo capitolo lo sviluppo della trama e godere meglio dei personaggi che partecipano al quadro finale: l’impaginazione dinamica è quasi un surrogato dell’analisi psicologica dei personaggi e ci dà tempo di soffermarci un momento sui caratteri (un’ombra con cane è “psicologia” differente da un’ombra in scooter, ad esempio) e sviluppare da essi una storia più completa, più piena, in fondo più soddisfacente da leggere.
Tutta la ricchezza di un lavoro che ha richiesto diversi giorni di appostamenti, decine e decine di scatti, una selezione attenta dei frame da utilizzare e infine il necessario intervento in postproduzione si dispiega così davanti agli occhi di chi guarda; la fruizione, a mio avviso, ne guadagna moltissimo: noi proviamo un’esperienza senz’altro più ricca.
Infine, per parafrasare Gianni Celati, “il lavoro si lascia vedere come chiede di esser visto”.
Antonio Desideri
 

Ombre sospese

di Andrea Taschin

 
 

 
 

Campagna di tesseramento alla FIAF 2021

 

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4 commenti

  1. Come detto nel testo, la forma ‘editoriale’ che il lavoro di Taschin ha preso qui sul blog è più adatta allo svolgersi della narrazione e del senso più completo di tutto il lavoro, del suo significato ultimo. Era un sentimento di angoscia (quello che tutti, a varie sfumature, abbiamo provato nella necessità di restare chiusi in casa) che ha mosso il fotografo a rappresentare in quel modo le sue visioni: quasi ciascuno di noi si è cimentato nel rappresentare fotograficamente quei giorni; il particolare punto di vista di Andrea è stato di sintesi estrema, di un’asciuttezza fuori dal comune ma anche forse necessaria data l’infodemia e il surplus di parole che furono spese (all’epoca ma anche nei giorni attuali) sulla questione. Tutti ricorderemo gli innumerevoli commenti, le idiosincrasie, gli sprezzanti epiteti rivolti ad esempio a chi andava a correre insomma tutto quel corollario di idee in libertà (spesso pure troppo “in libertà”…) che i social tendono sempre ad amplificare e che spesso non portano da nessuna parte.
    Taschin invece ha trovato una, per così dire, ‘direzione di marcia’ al suo lavoro e da autore con una poetica che si è venuta determinando con una mirabile precisione nel corso del tempo ha declinato quei giorni e quelle sensazioni in una maniera piuttosto originale, di certo personalissima perché ha rispettato tutti: le persone e la loro privacy (l’idea dell’ombra separata da tutto, oltre alla necessità metaforica, rispetta anche l’anonimato dei soggetti ‘ritratti’) ma anche se stesso e le sue visioni che, ancora una volta, si rivelano sorrette da un pensiero. E mai a caso.

  2. Come molti di noi, anche io, avevo cercato le parole e la luce necessaria per raccontare con la fotografia questo tempo vissuto tra incertezze, ansie e timori.
    Parole che non riuscivo a trovare nei volti senza identità nascosti dalle mascherine, luce che non filtrava dalla finestra aperta sulla strada deserta, e immaginavo un tempo non più capace di scorrere nelle stanze degli ospedali ritmato dal respiro artificiale delle macchine.
    Ma non servivano le parole, la luce e l’abituale scorrere del giorno per raccontare questi momenti, c’era bisogno di silenzi, ombre e un tempo sospeso.

  3. Andrea Taschin ha costruito intorno ad un nucleo centrale ossessivo nella sua formalità, attraverso l’uso spersonalizzante , ma estremamente significativo, delle ombre, una sintesi dello stato d’animo sospeso in cui tutti siamo stati immersi, e nel quale purtroppo per certi versi continuiamo ad essere immersi. E’ un lavoro estremamente essenziale, grafico che, per certi versi , mi richiama alla memoria la durezza e la spietatezza delle fotografie di Giacomelli. Complimenti vivissimi all’autore

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