TALENT SCOUT
Agorà Di Cult sarà il percorso di visibilità dei 5 Autori della Sezione Senior e 3 Autori della Sezione Giovani “Segnalati” dalla Commissione selezionatrice del Progetto FIAF “Talent Scout” 2021.
Le finalità di questo Progetto sono quelle di dare ai Presidenti di Circolo Affiliato FIAF l’occasione di far conoscere il lavoro di quei soci che, pur distinguendosi per capacità e passione, non hanno mai provato a confrontarsi con la platea nazionale della fotografia italiana. Ogni Presidente ha avuto la possibilità di proporre un socio della categoria GIOVANI (di età inferiore a 30 anni) e un socio della categoria SENIOR (di età superiore a 30 anni).
Pierclaudio Duranti, Socio (Senior) dell’Ass. Culturale SARTOR, Narni (TR)
Autore segnalato al progetto Talent Scout della FIAF.
Pierclaudio Duranti nasce a Terni nel 1971, dove svolge gli studi velo- cemente ed inizia a dedicarsi alla fotografia con curiosità e passione.
Scopre presto il fascino della polvere nella fabbrica di Papigno nel 1989, quando giovanissimo collaborando con una agenzia di moda locale utilizzava tali set come location per book e presentazioni.
Nel 2000 inizia un vero e proprio lavoro di documentazione fotografica sul territorio nazionale catalogando gli ambienti della fabbrica con in- teresse per le architetture e l’impiantistica industriale.
Da sempre attratto dalla fotografia analogica, grande formato e ste- nopeica, aderisce e sperimenta lungamente la “slow photo”, una sor- ta di manifesto contro il consumo frenetico dell’immagine.
Parallelamente alla sua attività di disegno stile e distribuzione all’in- grosso di abbigliamento per bambini collabora con diverse case di produzione.
Appassionato di mare, montagna e scialpinismo, ora vive con la fami- glia in campagna a Sangemini, dove ama prodursi verdura, frutta, olio e l’ottimo vino.
Le Opere
foto singole
Rianimazione Industriale – progetto ancora aperto, iniziato nel 2014 in continua fase di crescita
Rianimazione Industriale
Benvenuta un’opera che affronta il problema delle strutture abbandonate proponendo una invasione d’arte per ridare vita a questi luoghi e rendere onore a chi visse e fece vivere ambienti e attività ormai in rovina. Una memoria e un debito saldati attraverso l’arte e la cultura, un inno alla consapevolezza dell’ “anima delle cose”.
L’esordio allegorico è dichiarazione del punto di vista dell’autore con l’immagine, che riempie il formato quadrato, di un meccanismo metallico a struttura concentrica, che richiama alla mia mente il mandala, simbolo della ciclicità e mutevolezza di tutti i fenomeni e della totalità di natura e cosmo. E’ anche archetipo dell’ordine naturale per Jung, adoperato per ri-entrare dinamicamente nell’armonia universale attraverso il continuo cambiamento di sé. Ad arricchire il simbolismo ecco anche una colomba bianca ad ali spiegate.
Il potente dettaglio si contestualizza appena veniamo immessi dentro un fabbricato industriale in totale abbandono, in cui un funambolo, sospeso, ricerca ad arte ad ogni passo un nuovo equilibrio sulla sua fune tesa. Metafora letterale ed ossimoro, che ritroviamo anche nella donna in meditazione, alla ricerca di un equilibrio con sé e con l’ambiente anche in luoghi così estremi, di cui l’inquadratura peraltro evidenzia strutture simmetriche come manifestazione di armonia.
E’ invece la preterizione, col suo nascondimento, ad esaltare l’armonia di una coppia “sorpresa” in cima all’edificio, all’aperto e al di sopra di tutto.
Ci sorprendono poi presenze che riportano ad un tempo passato: un ginnasta che sembra provenire dal set di un film muto, che ri-anima anch’egli quel luogo, e, a rendere onore ai lavoratori che lì hanno faticato, ma non solo lì, un uomo d’altro continente con il suo carico sulla testa.
Ma l’autore scava ancora nella storia di questa struttura industriale e ci fornisce un indizio con l’uomo in frac e tuba che attraversa una sala, forse quella degli altiforni, proprio in corrispondenza del nome dell’ingegnere tedesco che nei primi anni del novecento innovò la produzione del coke. L’inquadratura grandangolare sottolinea qui la distanza temporale di ciò che osserviamo.
La macchia-ombra che richiama un essere alieno (o forse alienato?) può essere interpretata come prodromo della successiva azione dell’uomo che si sporge da un’alta torretta mentre denuncia/ rivendica/ esorta ad un megafono; azione resa potente oltre che dall’inquadratura dal basso, anche da scie, cavi, linee contro cielo che convergono su di lui o fanno da cornice. Qui è reso onore a chi si batté per i diritti dei lavoratori, per il diritto alla salute, per i diritti umani ma, in questo andare e venire tra presente e passato inevitabile è pensare a tutti coloro che ancora ai nostri giorni ripetono con coraggio questa azione. E come a rispondere a questo richiamo che non ha tempo, da un’acqua scura emerge come crisalide o come da letargo una donna del nostro presente in bianco-colomba; suggestiva la risonanza del suo viso nella similitudine della specularità.
Ancora, un uomo si aggira in quello che appare come un colosseo industriale, e un’ombra sembra fuggire per materializzarsi davanti all’insegna di un Circus ma dietro non c’è il noto tendone, bensì le ciminiere; metafora del circo, con la sua illusorietà, direttamente legata a quella realtà industriale.
Appare una presenza evanescente in corsa, ma il cartello che ammonisce “Qui non si fanno miracoli” vuole essere interpretato. L’allusione ad un uomo che chiede intanto a se stesso di sfruttare tutte le sue potenzialità, impegno e fatica, per vivere in armonia con tutto ciò che è intorno a noi, mi sembra confermata dalla chiusa dell’opera con la figura che sale su per una scala all’interno di un intrigo di travi di ferro, scale e biforcazioni e chiude così il cerchio con l’immagine d’apertura.
L’autore in quest’opera non solo ci narra poeticamente il suo punto di vista sull’abbandono industriale ma coinvolge altri protagonisti che agiscono, e, con ricchezza di simboli e metafore, crea legami tra vari personaggi, indizi, allusioni e rimandi continui tra storia passata e quella del nostro presente, tra decadenza e splendore, tra abbandono e cura.
Eletta Massimino