Dai tavoli di portfolio

MARGHERITA – di Cecilia Guario

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10 maggio 2017. Una chiamata anonima informa la polizia della presenza dello scheletro di una donna in avanzato stato di decomposizione, all’interno delle ex Acciaierie Scianatico di Bari. Il corpo avvolto in un nastro adesivo e coperto da assi di legno, giace in silenzio sotto una scritta inquietante sul muro «TU MUORI QUA».

Le indagini accertano che la morte della donna risale al giugno 2012 ma ricostruire l’accaduto non è affatto semplice. La vita nell’ex Acciaierie Scianatico da quando è stata dismessa, scorre senza tempo tra anime invisibili.

Zlezak Malgorzata questo era il suo nome, ma tutti la chiamavano Margherita. Era una donna polacca di circa cinquant’anni, che ha vissuto con il suo aguzzino che l’ha trascinata da un rifugio all’altro. Ridotta in schiavitù e vittima di numerosi episodi di violenza accertati dagli interventi della Croce Rossa di via Maratona, è stata infine uccisa dal suo compagno, morta a causa di uno «shock traumatico ad alta componente emorragica, nel corso e a causa di una violenta ed efferata aggressione».

Al pregiudicato 53enne di Giovinazzo (BA) Ignazio Piumelli, già in stato detentivo per maltrattamenti e minacce nei confronti della sua nuova compagna, un’altra donna già vittima della propria esistenza, il 23 dicembre 2019 gli viene notificata l’ordinanza di custodia cautelare per i reati di omicidio volontario, riduzione in schiavitù, occultamento e vilipendio del cadavere di Margherita.

Le numerose testimonianze, le scritte sui muri, gli interventi del 118 e i precedenti dell’imputato non sono riusciti a garantire giustizia per quel omicidio. Dei 30 anni chiesti dal Pubblico Ministero, la Corte di Assise di Bari lo condanna, il 3 marzo del 2022, alla pena di 14 anni e 6 mesi di reclusione per vilipendio e riduzione in schiavitù, assolvendolo dal più grave reato di omicidio volontario e occultamento di cadavere, poiché non sarebbe stata provata con assoluta certezza la morte violenta.

Margherita, una donna dimenticata dalla collettività e dalla sua famiglia, ha cercato aiuto invano. Gli amici senzatetto e gli operatori volontari della Caritas delle mense dei poveri chiamati a testimoniare, la descrivono come una «donna gentile e molto benvoluta da tutti», che «aveva cercato in più occasioni di sottrarsi alle grinfie del compagno violento».

Restando invisibile come un fiore tra i rifiuti e l’abbandono, Margherita ha subito la cattiveria di un uomo che gode nella società moderna definita civile, dei benefici di una giustizia contorta.

La sua storia, come tante altre che non osano essere raccontate, resterà sepolta tra le infinite segnalazioni di chi incita le vittime di violenza alla denuncia dei propri aguzzini senza offrire gli strumenti adeguati per aiutare chi subisce abusi tra le mura domestiche, se non in casi accertati di episodi di grave violenza o decesso.

Ma a Margherita non è bastato neanche morire.

Cecilia Guario

 

MARGHERITA

 

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