Cultura fotografica

IL VALORE DELL’ATTIMO INARRESTABILE, di Fulvio Merlak

Riprendo nuovamente un ragionamento in parte già questionato che, complice l’avanzare degli anni (i miei), mi cattura e mi avvince.

In fotografia ci sono indubbiamente argomenti che vengono dibattuti in modo rilevante fin dagli anni dell’invenzione dell’eliografia di Nicéphore Niépce. E uno di questi è senz’altro relativo al connubio fra la fotografia e il tempo; un tema sul quale si sono versati fiumi d’inchiostro. Il motivo è palese: si tratta di una relazione che appare tanto affascinante quanto angosciante e coinvolgente. Per gli esseri viventi il tempo è un’entità inafferrabile, sfuggente, scivolosa. L’uomo vorrebbe frenare il divenire, svincolarsi dalla caducità delle cose e dal decadimento fisico.

 

Fotografare il tempo, di Maurizio Frullani

 

Il grande Robert Doisneau (Gentilly, 1912 / Montrouge, 1994) amava affermare «Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia.» Ed effettivamente la sua era pura follia, perché il tempo è imprendibile, è inarrestabile; e per di più, è indefinibile. Ricordate il professor Gennaro Bellavista (Luciano De Crescenzo nel film “32 dicembre” del 1988) e la sua citazione sul pensiero di Socrate “Il tempo è un’astrazione mentale”? «Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente, come separazione fra due cose che non esistono, come fa a esistere?» Appunto… il tempo è un’astrusità cerebrale, perché la percezione del suo scorrere trae origine dalla coscienza del cambiamento, dalla consapevolezza della mutazione avvenuta nell’intervallo fra un prima e un dopo. Mentre invece, dal punto di vista scientifico, tutto il tempo esiste simultaneamente e ininterrottamente, senza inizio e senza fine, e quindi senza passato, né futuro. È un’ininterrotta serie di attimi reali, una persistente successione di “tempo zero” (l’unico effettivo tempo “presente”).

 

 

Lo scrittore e giornalista Guido Piovene (Vicenza, 1907 / Londra, 1974) nel suo libro “Il valore dell’attimo” (1941), riprendendo un’affermazione attribuita a Eadweard Muybridge (Londra, 1830 / Londra, 1904), ha scritto «La grande rivoluzione che la fotografia ha portato nell’uomo è stata quella di insegnargli il valore dell’attimo. Gli ha insegnato il gusto profondo, l’intimo senso che si trova in ogni attimo della nostra vita: un senso che sfugge vivendo, quando non si pensa a guardare la vita ma solo a sfruttarla. Solo la fotografia ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha il valore di una intera esistenza e che senza di essa era destinata all’oblio.» La fotografia, dunque, è l’unico mezzo che riesce a bloccare l’istante, intercettandolo per l’eternità (affermazione vera solo in parte, perché la fotografia, di fatto, riprende una media di ciò che succede davanti all’obiettivo nell’arco di tempo dell’otturazione, una durata impercettibile quanto si vuole, ma pur sempre contrassegnata da un suo decorso).

Orbene la “battaglia disperata” combattuta da Robert Doisneau non ha avuto, e non poteva avere, il risultato di esorcizzare la sua dipartita, ma sicuramente ha tramandato alle future generazioni la testimonianza di una Parigi che oggi non c’è più, una Parigi dal volto antico, con i suoi bistrot, i suoi mercati, i suoi caffè frequentati da artisti, musicisti e intellettuali; un viaggio a ritroso nel tempo, perché la fotografia è memoria, è ricordo, è testimonianza, è cattura dell’attimo fuggente; è custodia del passato ed è dilazione del presente. Sono tutti valori che provengono dal suo connubio con il tempo. La memoria (termine che deriva dal greco “mimnésco”) è un’attività della mente, una facoltà intellettiva collegata a una precisa esigenza che è quella di mantenere in vita la reminiscenza del passato. Mentre il ricordo (voce che discende dal latino “re-cordor”) ha a che fare con i sentimenti e quindi con il cuore. È un legame emotivo che risveglia la nostra parte affettiva. È l’impronta di un’esperienza passata che coinvolge, nel bene o nel male, le nostre passioni. La memoria è la capacità di elaborare, immagazzinare e ritrovare informazioni; il ricordo è la facoltà di suscitare emozioni, di confortare oppure affliggere. Nondimeno memoria e ricordo sono strettamente collegati fra loro, e il modo più efficace per conservarli nel tempo è quello di cristallizzarli per mezzo della fotografia che, oltretutto, propone un supporto meno effimero di quello offerto dall’attività mnemonica.

Fulvio MERLAK, Presidente d’Onore della FIAF

 

 

 

 

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