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ARA PACIS di STEFANO MIRABELLA

“Lo scatto del 2016 di un bambino con in mano un palloncino rapito dai racconti della mamma, che forse gli sta spiegando la magnificenza e la grandezza della città che li sta ospitando, mi ha fatto pensare che quel muro pieno di storia potesse diventare il mio omaggio fotografico al luogo che amo”.  Stefano Mirabella

Da allora quel muro in travertino di 40 metri, lungo la via di Ripetta, è diventato per il fotografo Stefano Mirabella un punto fermo, la sua “comfort zone”.  Un teatro incredibile dove lo spettatore, il fotografo, diventa anche regista, scegliendo con il suo sguardo quello che è meritevole di essere ricordato. In una narrazione aperta Stefano scrive, negli anni, le sue storie; sono “frame” di vita quotidiana che si aggiungono a quelle antiche incise e rese eterne sul muro, appunto le famose gesta di Augusto, le Res gestae, fuse in più di 15.00 lettere in bronzo, che l’architetto Morpurgo fece realizzare nel 1938, bimillenario della sua nascita, per restituire a Roma i fasti dell’età imperiale, alla collocazione dell’Ara Pacis ritrovata. Uno sguardo sempre curioso che, all’inizio, è attratto dall’insolito, il diverso, poi si fa più riflessivo andando con il tempo a catturare l’interazione dei romani e la romanità, rappresentata proprio dalla ieraticità del muro. Tutto passa, tutto cambia, e negli anni anche l’approccio di Stefano evolve, senza mai dimenticare il potere delle foto di rappresentare la realtà e al tempo stesso trascenderla.

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Stefano ha scelto la strada, ha scelto l’imprevedibile, di vivere il momento. Stare tra le gente. La curiosità e la vivacità del suo sguardo rinnovano ogni volta il quotidiano, donandogli nuova luce. Eppure quel muro oggetto di migliaia e migliaia di occhi inconsapevoli, spesso affrettati, non poteva non essere lo sfondo dell’inscindibile rapporto con la sua città, Roma, lui ragazzo di borgata, la Garbatella. Una trasposizione del sé attraverso le azioni degli altri. E’ il bello della fotografia, ci definisce e ci rivela. Il muro è allo stesso tempo spazio del ricordo e spazio fisico del vissuto. Le storie, i momenti di vita, gli istanti catturati si accumulano; Stefano non sta più a contarli, sono 100 o forse più, ma la sua voglia di tornare di nuovo lì, a quel palcoscenico, non viene mai meno. Le inquadrature sono simili, come simile è il taglio fotografico che imprime agli scatti, la scelta del bianco e nero, affinché risultino un unicum nella narrazione. Eppure ciascuno diverso: un transito, una sosta riflessiva, una attesa, l’improvviso “abbiocco” sotto il solleone, la voglia di mettersi in mostra nella posa giocosa dei gemelli, l’amore genitoriale, quella certa non curanza a cui la fretta ci ha abituato, la “botticella” che accompagna due turisti per le bellezze della città eterna e poi, dare nuovo senso a simboli come il tricolore, ai fasti del cinema, in una stratificazione tutta contemporanea della storia. La serie acquisisce allora un respiro più ampio, diventa il progetto “Ara Pacis” che si nutre di queste interazioni, le cerca e ce le restituisce. Ne godiamo della leggerezza, della freschezza, della capacità di farle dialogare tra loro. C’era da aspettarselo un cavallo, subito dopo il cartellone pubbicitario del “biondo” del cinema di Sergio Leone. Ma non da meno al lavoro gli si deve riconoscere anche una valenza antropologica d’indagine del contemporaneo, nel cercare di decodificare il mondo che viviamo.

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Il segreto di Stefano? Ce lo rivela lui stesso: “Allenarsi a guardare con gli occhi, prima che attraverso un obiettivo. Ed essere capaci di innamorarsi continuamente e nuovamente di quello che abbiamo intorno e che conosciamo”.
Panta rei, tutto scorre, torno a ripetermi, perché quel muro è sempre lì, nonostante lo smog, il traffico, il passare dei decenni, nonostante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
“…le fotografie ampliano le nostre nozioni di ciò che val la pena guardare e di ciò che abbiamo diritto di osservare, la conseguenza grandiosa della fotografia e che ci dà la sensazione di avere in testa il mondo intero…”: diceva Susan Sontag nel suo saggio “Sulla fotografia”.
Ecco, guardando all’umanità di “Ara Pacis”, ci si spalancano le porte su un mondo, sempre nuovo, sempre in cambiamento, che non dimentica però le sue radici storiche.

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L’Ara Pacis ha da sempre segnato la carriera fotografica di Stefano Mirabella, indicandogli prima nel 2012 il suo percorso di fotografo, abbracciando la Streetphotography, poi nel 2015 anche quello di docente, quando vinse un Talent indetto da Leica Camera Italia, diventando, e lo è tuttora, insegnante Leica Akademie. Mirabella, che ha fatto parte del collettivo Spontanea, tiene inoltre corsi di fotografia presso Officine Fotografiche a Roma, workshop in tutta Italia ed è uno degli ideatori ed anima dell’Italian Street Photo Festival, quest’anno giunto alla sesta edizione.  Per conoscerlo basterà essere a Roma dal 28 al 30 aprile.

Ringrazio Stefano che ci ha dato l’opportunità di condividere un assaggio di “ARA PACIS”. Gli auguro che abbia ancora tanto da raccontare e raccontarci.
A presto!

(Debora Valentini)

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