Il ritratto si deforma nello spazio, e la conformazione si perde tra passato e futuro. La fotografia onirica non ha nessuna pretesa di loquacità immediata; ma si disperde nella penombra della velleità della narrazione che strappa la sua chiarezza per disperdersi in un vortice visivo tra sogno e realtà.
Superfici strappate, sovrapposte con figure geometriche e ornamenti floreali che schiaffeggiano la composizione classica con un fondo neutro stile ottocentesco. La fotografia di Eliza Tsitsimeaua Badoiu è alimentata da una trasfigurazione di se stessa sul piano emozionale femminile, distaccandosi completamente dalla realtà per entrare nei meandri dell’Io inconscio e dell’istinto che detta i movimenti irrazionali, le regole grammaticali e i neologismi figurativi della sua poetica visiva incentrata sull’autoritratto.
Eliza è una docente di Lettere che vive a Costanza, citta affacciata sul Mar Nero in Romania, premiata più volte per il suo talento con l’iphone-photography e l’arte digitale. Fin da adolescente, ha coltivato la passione per la fotografia analogica, alimentata dal suo interesse per gli scatti presenti sulle riviste di moda italiani e francesi degli anni 90. Solo nel 2013, quando ha acquistato il suo primo I-phone, la fotografia digitale è entrata nella sua vita artistica.
L’autrice nei suoi scatti fotografici vuole destrutturalizzare e liberare tutti gli elementi del suo EGO femminile per raccontare sé stessa come vorrebbe essere nella realtà, eliminando tutte quelle maschere, regole, strutture e forme che trattengono l’espressione della sua anima. Tutto questo, ovviamente, fa pensare subito alla letteratura pirandelliana e all’opera “Uno, nessuno centomila”, dove l’autore siciliano analizza il ruolo delle maschere che ogni singolo individuo adotta in relazione ai contesti in cui vive. Eliza vuole raccontare le mille maschere della donna, abbandonarle, e cercare attraverso la fotografia di conoscere sé stessa, i suoi desideri e le sue aspirazioni autentiche seguendo il proprio istinto. Tutte le sue foto non sono progettate a tavolino, ma nascono da momenti improvvisi di ispirazione durante la giornata, usando la sua parete di casa come tela dove realizzare i suoi scatti prendendo gli oggetti più svariati che vengono sovrapposti successivamente con la post produzione.
L’autrice crea delle atmosfere gotiche in bianco e nero che si rifanno molto alla letteratura di Edgar Allan Poe e alla fotografia surrealista di Francesca Woodman, che usava l’autoritratto per raccontare la sua solitudine attraverso la tecnica della lunga esposizione, per nebulizzare il suo corpo con l’ambiente circostante. Eliza realizza anche dei ritratti a colori, che ricordano la fotografia di moda di Vogue degli anni 60, molto vicina alla cultura pop di quel periodo.
La demiurga visiva crea un dialogo continuo tra fotografia, arte, moda e grafica digitale; sintetizzati in autoscatti e destabilizzati con il mosso, la sfocatura, la sovraesposizione e la cromatura. Tutto questo crea una poesia visiva che permette attraverso l’autoritratto un dialogo diretto con lo spettatore, ammaliato dall’in-usualità della composizione dello spazio visivo. Predilige, per le sue foto, fondali di stile grunge necessari a far risaltare la sagoma e tutti gli elementi visivi collocati nello spazio compositivo; oppure utilizza dei fondali che si ispirano all’universo per dare una sensazione cosmologica o siderale, atti a trasfigurare maggiormente la dimensione onirica degli scatti realizzati.
Testo di Giuseppe Calascibetta
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