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ANATOMIA DI UN FIORE DI MIRIAM ALE’

Le ombre degli alberi accecano i miei occhi, distesi su un prato di luce, contrastati dalla silhouette delle foglie che incorniciano il nostro piccolo paradiso di pace. Il fogliame riecheggia al mormorio del vento, che coccola i nostri occhi in una danza sublime con le ombre del crepuscolo. Le rose appassite dall’autunno imminente, piangono i loro petali gettati in quella terra che li ha procreati. Un urlo, un pianto riecheggia tra la natura. La bellezza e i colori si disperdono con il tempo; i suoi colori, il suo profumo che ha fatto innamorare i passanti, rimane soltanto un lontano ricordo. Le lancette dell’orologio non si arrestano, la sua forma sbiadisce in mezzo alla morbidezza del terreno e dei vermi pronti a divorarla fino all’ultima briciola. Il corpo della donna ignuda, piange, piange, piange…. si deforma davanti a tutto quel dolore, dove la fluidità della natura ha eliminato quella certezza di giovinezza e di bellezza che si frantuma in ogni secondo. Vuole resistere a quel battito accelerato, ma comprende che tutto è mutevole come le foglie e i fiori che nascono, raggiungono la loro bellezza per poi perire improvvisamente. Un ciclo di vita maestoso, disgustoso e risguardevole; ma necessario per la rinascita sotto una nuova forma.

I pensieri sopiti prendono il sopravvento: ricordi, nostalgia, sogni appesi, emozioni si strofinano violentemente nella mente per riassaporare e fotografare quella breve vita e renderla immortale con lo sguardo nell’infinito e nell’eternità. Le luci della sera calano, il buio traspare da ogni fessura, e bisogna abbandonarsi al flusso della morte. Nel frattempo, un piccolo seme inizia a germogliare nel buio del sottosuolo.
Tutto diventa improvvisamente luce, i raggi inebriano il piccolo fiore incuriosito da quell’immenso mondo che è la vita; il suo corpo ignudo si schiude nella sua bellezza, alla tonicità e alla lucentezza della sua giovane pelle. Tutto rinasce sotto quegli immensi alberi piene di fogliame e lunghi rami che campeggiano nei grandi prati della terra.

Miriam Alè
Miriam Alé
Miriam Alé
Miriam Alè

“Anatomia di un fiore” è un racconto visivo tra filosofia, buddismo e arte. È una contemplazione della caducità della vita: un’opera d’arte in continua evoluzione, una danza interminabile di nascita e morte. A tal proposito il Buddismo insegna l’emancipazione, volto a liberare le persone dalle inevitabili sofferenze della vita, agli attaccamenti alle persone, alle situazioni e ai beni che determinano un deterioramento psicologico e umano. Liberarci delle certezze e buttarsi a capofitto nella corrente delle insicurezze umane per plasmare le radici del proprio IO.

Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè

Miriam Alè ci propone un portfolio usando tre registri lessicologici visivi: il paesaggio per descrivere la natura; lo still life per raccontare la vita e la morte di un fiore e gli autoritratti per raccontare la sua contemplazione per affrontare le sue ferite e fragilità per rinascere come donna. A tal proposito l’autrice descrive così il suo lavoro: “Nella quiete di un mondo in costante mutamento, trovo nella fotografia un mezzo profondo e potente per riflettere sulla caducità della vita stessa. Ogni volta che guardo attraverso l’obiettivo, mi immergo in un viaggio intriso di auto-riflessione e introspezione, contemplando la mia esistenza in un contesto più ampio di trasformazione e transitorietà. È come se il mondo si fermasse per un momento, permettendomi di osservare e capire le sottili sfumature della realtà che mi circonda. Guardo dentro di me, ed ogni autoritratto che scatto diventa una testimonianza delle mie vulnerabilità e della mia forza, una finestra aperta sulla mia anima. Mi osservo e mi ritrovo, a volte fragile e insicura, altre volte forte e determinata. Negli still-life dei fiori morti, dove gioco a fare Dio, ad uccidere per mia mano, scopro una fragile bellezza nell’effimero, un richiamo potente alla mia stessa mortalità”.

Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè
Miriam Alè

 

BIOGRAFIA
Miriam Alé è nata a Gela, in Sicilia. Nel 2015 ha vinto una borsa di studio presso lo IED di Roma, dove ha conseguito la laurea triennale in fotografia. La sua ricerca si muove tra reportage, fotografia documentaria e ritrattistica. Le sue foto appaiono su riviste come Flewid e Il Reportage. Il suo lavoro è stato esposto in alcune mostre personali e collettive in Italia. Attualmente è impegnata nello studio della fototerapia e della fotografia  di azione sociale.

MOSTRE
2022 Prima Ràma, Spazio Recherche, Roma
2022 Prima Ràma, Civico 111, Gela
PUBBLICAZIONI
2022, Santa Lucia, Il Reportage
2021, Sveva Basirah, libro Flewid
2022, Prima Ràma, Seezeen

Testo di Giuseppe Calascibetta

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