
Da Trecate, nel Novarese, il mare è lontano. Devi scendere giù per chilometri per trovare quello più vicino. Ed in fondo al viaggio, infatti, ecco il mare della Liguria. Giuseppe Perretta lo fa spesso, soprattutto in inverno e in primavera, quando il mare – che qui è antropizzato all’eccesso – in questi mesi è lasciato solo, ed è quieto, fermo, orizzontalmente stabile. Queste sue marine, come quelle del portfolio “Liguria” fanno venire in mente Ghirri al quale Giuseppe Perretta si è sempre ispirato. «Vado al mare in questi mesi – dice il fotografo – perché con il mare nasce un rapporto più intenso. Si è soli con il mare e ciò induce alla riflessione, ed è rilassante. Questa dimensione essenziale si rispecchia nella mia fotografia che, allo stesso modo, è tersa, calma e pulita.»



Il fotografo fa in modo di arrivare all’alba sulla riviera ligure e, tutte le volte, quando al termine del viaggio intravede in una curva o da un’altura della strada la prima striscia azzurra lontana rivive le emozioni di quando bambino sua madre lo portavo al mare. «Non fotografo – dice – oltre una certa ora del mattino, quando l’aria è tersa e chiara e la luce è morbida. È questo l’orario ideale per non avere luci molto dure.»




Nelle sue fotografie, i pochi elementi verticali a mala pena spezzano l’orizzontalità dell’impostazione grafica. L’orizzonte è oltre le cabine di un lido o dietro un muro che fa da parapetto, così vicino ma impossibile da raggiungere. La presenza dell’uomo è marginale. «L’uomo – dice il fotografo – è rappresentato non tanto con la sua presenza fisica, ma con quello che l’uomo fa: le sue costruzioni, i suoi manufatti. Che diventano testimonianza umana.» Altre volte, almeno due volte all’anno, si spinge poi più lontano davanti al mare della Sardegna dove, a parte le spiagge brulicanti dell’estate, l’uomo è assente e non ha lasciato tracce di sé nella definizione del paesaggio.



La calma orizzontale caratterizza anche la sua fotografia di paesaggio: la campagna del novarese, le estese e specchianti risaie o gli stessi paesaggi quando sta per calare la neve o quando inizia a diradarsi. Sono paesaggi del silenzio, pure qui l’uomo compare con vestige umane: la sua casa, un cartellone pubblicitario, una statua, un’auto o piccole case abbandonate. Cosa che fa nei paesaggi di “Terre d’acqua e dintorni” sulle geometrie che le risaie disegnano nel terreno o con “Racconti di nebbia” quando il velo di nebbia amplifica la magia, aggiungendo il mistero ai suoi scorci di paesaggio.







Giuseppe Perretta ha iniziato a fotografare ai tempi dell’Università che ha poi lasciato. L’architettura, rimasta come passione, è finita catturata nelle sue prime fotografie scattate con quelle pesanti e indistruttibili “Praktica” della Germania dell’Est. Poi una sorta di rifiuto e l’abbandono completo della fotografia di cui non ha voluto più sentir parlare fino ad una ventina d’anni quando ha ripreso con il digitale ed il colore. È iscritto alla storica “Società Fotografica Novarese” associata FIAF e all’interno di questo gruppo agguerrito ha ripreso a fotografare.

testo di Giovanni Ruggiero