Un tempo fu la “Fotografia Umanista”.
Proseguiamo il nostro percorso di preparazione del Forum dei Collettivi con la pubblicazione di una serie di interviste realizzate con i Collettivi aderenti alla FIAF; oggi è la volta del Collettivo THE STRIPPERS.
Quali sono le motivazioni per cui avete deciso di fondare un collettivo e come si è formato?
Quali sono i vantaggi e le difficoltà di un collettivo?
Come si diventa membri del collettivo, qual è il processo di selezione?
Pensate che internet abbia favorito la formazione dei collettivi? Che abbia cambiato la fotografia?
I membri del collettivo si incontrano regolarmente faccia a faccia o solo on-line?
Quale consiglio vi sentireste di dare a coloro che intendono costituire un proprio collettivo?
La motivazione principale che ci ha spinto al pensiero collettivo è stata una riflessione sulla fotografia di strada nell’ultimo periodo. Lo abbiamo fatto quando la cosa generava vere e proprie guerre di religione fra gruppi fotografici … oggi la cosa si è andata spegnendo e anche noi ci siamo assopiti. Siamo rimasti amici che continuano a pensarla in modo analogo.
In ogni caso partivamo dalla comune considerazione di quanto la “street photography” sia diventata una definizione equivoca ed approssimativa, che arricchisce le discussioni inutili e allontana da uno degli scopi più alti della fotografia: documentare l’uomo nella sua quotidianità. Così che la “strada” ha finito per ghettizzare la fotografia nell’indefinito.
Noi, invece, abbiamo sempre pensato che l’essenza della street photography fosse proprio l’uomo e la fotografia un buon mezzo per documentarne l’esistenza: sociale, drammatica, triste, allegra, scherzosa…ma umana!
Ci vogliamo riconoscere in alcune semplici idee su quella fotografia che mette al centro l’uomo e la sua vita di tutti i giorni.
All’inizio non volevamo neanche fondare un collettivo, ma aggregare interesse intorno ad un manifesto, cercando di ridare una dignità alla cosiddetta fotografia umanista che, ci sembrava, fosse quasi diventata una dimensione dispregiativa di una certa fotografia di strada, molto concentrata sull’effetto speciale e poco sulla narrazione. Cosicché ci siamo detti che provare a rimettere l’uomo al centro della fotografia potesse essere un buon modo per aggregare fotografi intorno ad un pensiero comune … e siamo rimasti in cinque!
Quando possiamo parlare di buona street photography? Come si identifica la qualità in questo particolare genere di fotografia?
Forma e contenuto: come si conciliano nella street? devono per forza conciliarsi?
Proprio le troppe sofisticazioni hanno in qualche modo inquinato le discussioni sulla street photography; in fondo c’è un modo molto semplice per giudicare una fotografia che, mentre per gli altri generi viene abbastanza naturale, per la street photography è fonte di angosce e notti insonni: un fotografia piace o non piace, semplice; son talmente tanti gli ingredienti su cui si può fondare un giudizio critico, che cercare di classificarli, alla fine, diventa un esercizio sterile e abbastanza inutile. Una volta scattata, la foto diventa di chi la guarda e se chi la guarda l’apprezza, allora la foto è valida e riuscita, altrimenti è debole. Piuttosto, quello che ci interessa mettere sempre dentro una fotografia di strada è tutto ciò che ci aiuta a contestualizzare un soggetto: molte volte è proprio lo sfondo a fare la fotografia e quel soggetto sarebbe banale o scontato senza un adeguato contesto scenico dove è inserito.
In che modo influisce la privacy sulla street? a parte la legge, il collettivo ha una sua etica?
La privacy è una delle più grandi ipocrisie della società contemporanea; firmiamo un moduletto e possono far di noi ciò che vogliono. Rispondiamo con un ok ad una richiesta di cookies e ci troviamo per giorni bombardati dalla pubblicità dell’oggetto che abbiamo cercato su Amazon o su Ebay … e poi, scattiamo una foto in strada e certe volte sembra di commettere un delitto e veniamo redarguiti come se fossimo degli stupratori. Abbiamo un’etica? Certo che abbiamo un’etica: rispettare sempre e comunque la dignità delle persone e dei luoghi … si, anche dei luoghi, perché forzare una situazione in un luogo può alterare profondamente la percezione di chi guarda la foto, né più, né meno che per una persona. Quindi, quando si fotografa in strada servono: umiltà, onestà intellettuale, discrezione ed educazione. Nel nostro manifesto affermiamo: “noi rubiamo la privacy al singolo per donargli una identità universale” … l’importante è, appunto, nobilitare ciò che si riprende, facendo come facevano Doisneau, Cartier Bresson, Izis, Berengo e tanti altri ai quali nessuno chiedeva se andavano in giro col blocchetto delle liberatorie.
L’uso degli smartphone nella street è sempre più comune, voi come vi ponete rispetto all’attrezzatura da usare? Usate (o avete provato ad usare) uno smartphone?
Nel nostro gruppo non parliamo quasi mai dello strumento che utilizziamo quando fotografiamo in strada. Se ci scambiamo qualche considerazione sullo strumento è in genere per passarci qualche dritta su una macchina piuttosto che su un obiettivo e alla fine fotografiamo con tutto. Qualcuno di noi usa abitualmente lo smartphone e non ne abbiamo mai fatto un dramma, così come non ci ha mai appassionato più di tanto la diatriba analogico/digitale. Fondamentalmente, per noi, fotografare è un divertimento e un gioco e quando lo facciamo abbiamo più l’atteggiamento del bambino che quello del professionista.
Negli ultimi anni la fotografia di strada è cresciuta molto, quale pensate ne sia la ragione?
Negli ultimi anni a crescere non è stata la fotografia di strada, ma il modo di mostrarla: diciamo che è profondamente cambiato il modo di fruire la fotografia, sempre meno stampata, sempre più “liquefatta” nell’etere. Da sempre la fotografia di strada è stato un genere molto battuto, anche perché non richiede grandi progettualità, ma solo intuito e buon occhio. Siamo convinti, tuttavia, che la quantità non abbassi la qualità complessiva della fotografia di strada, perché quello che regge è la tenuta nel tempo. Molto si consuma nello spazio di un post su Facebook e non ne rimane traccia se non nella manciata di like. Ce lo racconteremo tra trenta o quaranta anni e vedremo se la nostra generazione sopravviverà alla storia di molti grandi del passato.
Avete elaborato una vostra ‘definizione’ di street?
Si, la trovate nel nostro manifesto (www.thestrippers.it/il-manifesto/)
Tre libri di street che consigliereste
Willy Ronis, Le regole del caso, che non è propriamente un libro di street; Giorgio Branzi, il giro dell’occhio; “Earthlings” di Richard Kalvar