Alessandro Pavia fotografo garibaldino – di Teofilo Celani
Alessandro Pavia fotografo garibaldino.
di Teofilo Celani
Caprera 22 maggio 1878
Ai miei amici d’Italia.
Alessandro Pavia fotografo – e patriota distinto – in un lavoro faticoso e con molta spesa – raccolse in sette anni in album le effigie di tutti i componenti la schiera dei Mille.
Io la raccomando a tutti i miei concittadini – acciò contribuiscano ad una sottoscrizione di 20 centesimi per compensare le spese e le fatiche dell’egregio patriota.
Cosi’ scriveva Giuseppe Garibaldi ad Alessandro Pavia, fotografo genovese e garibaldino (1824-1889), per promuovere una raccolta di fondi destinata alla copertura delle spese (pari a lire 460 dell’epoca) sostenute per realizzare l’Album dei Mille.
Alessandro Pavia è stato un professionista di valore con una particolare competenza nei trattamenti chimici del materiale fotosensibile. Nel suo studio di Genova dava anche lezioni di tecnica fotografica.
I Mille partirono dallo scoglio di Quarto, il 5 maggio 1860. Probabilmente già al momento dell’imbarco Pavia aveva maturato l’idea di ritrarre tutti i volontari. Non potè fotografare i Mille durante la spedizione. Quindi al termine dell’impresa iniziò una ‘caccia al garibaldino’ durata circa sette anni, al termine della quale il fotografo genovese ha lasciato una delle più straordinarie testimonianze nella storia della fotografia italiana.
Pavia riuscì a fotografare quasi tutti i Mille che parteciparono alla spedizione. Le immagini sono disposte, nell’Album, in ordine alfabetico: da Cesare Giuseppe Abba a Matteo Enrico Zuzzi; tra i Mille una sola donna, Rosalia Monmasson di Annecy, moglie di Francesco Crispi.
Garibaldi scriveva: “L’Album dei Mille coi suoi ritratti, pubblicato da Alessandro Pavia e che raccomando all’Italia, supplirà alla debole mia memoria per ricordare tutti i componenti della gloriosa schiera…..”.
Di questa straordinaria raccolta fotografica esistono taluni esemplari, attualmente custoditi presso le Civiche Raccolte Storiche di Milano, il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, l’Archivio Comunale di Palermo e la Biblioteca Civica di Cremona.
Pavia donò personalmente una copia a Giuseppe Garibaldi arricchendolo con alcune foto acquerellate ed una copertina in bronzo. Nella lettera di accompagnamento, il fotografo garibaldino scriveva: “L’opera è ben lungi dal potersi dire perfetta, ma il concetto politico nazionale, è per me raggiunto, e ciò basta, giacché io non cercai con essa gloria d’artista, ma volli far opera al cittadino, che potesse di giusto omaggio riunire quei prodi, ed accetta al loro Duce a cui intesi consacrarla”.
Sulla Gazzetta Ufficiale del Regno del 12 novembre 1878, supplemento n. 266, fu pubblicato l’elenco dei 1.089 garibaldini di Marsala che avevano diritto alla medaglia ed alla pensione di guerra. La compilazione dell’elenco ufficiale fu possibile anche grazie all’Album dei Mille.
E’ notevole la portata culturale di questa straordinaria storia che Teofilo Celani ci racconta, sorprendendoci! Alessandro Pavia con “Album dei Mille” si manifesta come persona sensibile verso il valore indicale della fotografia e quindi molto moderna. Con la conoscenza che abbiamo oggi verso la struttura dell’opera fotografica è evidente che egli ha realizzato un’idea concettuale. Non è cosa da poco anticipare di 100 anni l’attribuzione di valore a un aspetto culturale dell’immagine fotografica. La sua azione non è stata animata da uno slancio ideale ma da consapevole progettualità, è impressionante come la fotografia diventi madre della modernità quando trova uomini sensibili, intelligenti e intraprendenti come Alessandro Pavia.
L’aspetto culturale è fuori discussione ma credo sia un’interpretazione moderna. Personalmente nel “progetto cosapevole” del Pavia vedo più il romanticismo della memoria, il voler ricordare in maniera tangibile e ferma non tanto l’idea dei Mille e l’impresa nel suo insieme ma la particolarità degli individui. Mi viene facile pensare al lavoro di Alessandro Pavia come ad un incoscio esempio di antropologia sociale. Del resto siamo in piena seconda rivoluzione industriale ed è proprio in questo periodo che la borghesia “scopre” o sdogana il ritratto non più appannaggio della sola nobiltà, grazie anche alla fotografia dall’approccio palesemente più estemporaneo e relativamente meno costoso. E’ evidente che l’opera di Pavia si può collocare tra le testimonianze che cambieranno il modo di vedersi della società dell’epoca, stimolando in alcuni casi anche quel pizzico di edonismo che si dimostrerà più evidente nelle avanguardie.