Paolo Monti – di Orietta Bay, I° parte

Paolo Monti – di Orietta bay, Prima Parte

Il secondo dopoguerra è stato in Italia un momento di grande cambiamento. La disfatta economica e sociale, conseguente al fallimento del Fascismo e delle ideologie totalitarie europee che ha condizionato il periodo postbellico, ha costretto il paese ad un processo di evoluzione per poter riconquistare un’ identità nazionale nuova e salda ed operare una veloce ricostruzione, anche fisica, del nostro territorio, toccando aspetti molto significativi della vita quotidiana e delle sue consuetudini.

Anche l’arte è naturalmente coinvolta da quest’aria di trasformazione che, soprattutto in Italia, è strettamente unita con quella sociale. Il dibattito si concentra tra il formalismo che cercava il recupero della tradizione visuale italiana, anche se sotto nuove vesti, e il realismo, che nelle sue fasce estreme, cercava di dar voce alla diffusa precarietà, sofferenza e disagio in cui versava gran parte della popolazione. Espressione importante fu senza dubbio il neorealismo le cui radici affondano nell’anteguerra e il cui pensiero ci rimanda alla letteratura (Moravia, Calvino, Pratolini) e all’opera di giovani coraggiosi registi (Rosellini, De Sica, Visconti).Tuttavia in fotografia non era ancora ben delineato un pensiero autonomo che si sganciasse dalla tradizione classica e pittorica. Novità di spicco è stata non l’adesione al neorealismo ma la pubblicazione nel 1947 sulla rivista “Ferrania” del Manifesto programmatico del gruppo “La Bussola”. Giuseppe Cavalli, paladino delle teorie crociane, spinge la fotografia verso un primato della forma evitando “le secche” della documentazione e della cronaca. Vi si legge: “Noi crediamo alla fotografia come arte. Questo mezzo di espressione moderno e sensibilissimo ha raggiunto, con l’ausilio della tecnica che oggi chimica meccanica e ottica mettono a disposizione, la duttilità, la ricchezza, l’efficacia di un linguaggio indipendente e vivo. È dunque possibile essere poeti con l’obiettivo come con il pennello, lo scalpello e la penna: anche con l’obiettivo si può trasformare la realtà in fantasia: che è l’indispensabile e prima condizione dell’arte”. Lo firmarono Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender, Luigi Veronesi. Lo stile “Bussola” che era caratterizzato da un tono alto e dalla rarefazione delle linee ha fatto scuola, per qualche tempo, per buona parte della miglior produzione italiana. Contemporaneamente si fanno anche sentire l’influenza delle novità espressive europee e americane. Il pensiero si apre sulla loro vastità, che in fotografia vanno dall’evoluzione stilistica alla capacità di fornire una visione autonoma della realtà. Interrogativi che portano a spostare l’azione su un piano intellettuale. Sono proprio alcuni fotografi intellettuali, tra i quali Paolo Monti, a contribuire al nuovo rinnovamento.

Paolo Monti nasce l’11 agosto del 1908 ad Anzola d’Ossola ma per seguire la professione del padre, funzionario di banca, la famiglia si sposta in vari paesi e città. Costretto a letto per una lunga malattia infantile scopre una passione precoce per i libri e le immagini. Dal padre, “un amatore evoluto che sapeva fare tutto da se” e al quale Monti dedica molti scritti, eredita la passione, all’inizio latente, per la fotografia. La sua prima esperienza diretta con un apparecchio fotografico risale al 1928 in occasione di una gita a Venezia: “solo su insistenza di mio padre a 20 anni portai con me a Venezia una vecchia Folding Kodak 8×14… che si potesse andare a Venezia senza macchina fotografica era tale scandalo da non poter essere perdonato”. Nei suoi scritti riferisce: ”Che la fotografia fosse una cosa seria me lo dicevano le mie esperienze visive, e quanto vedevo nelle riviste straniere, soprattutto tedesche, ma non parlo delle riviste specializzate che allora non mi interessavano, ma di quello più diffuse, come per esempio Das Leben che dedicava circa la metà delle sue immagini a fotografie di ogni genere. Erano i tempi della nuova Oggettività e i fotografi si davano alla scoperta della materia e delle analogie delle forme. Si cominciava a vedere la fotografia come un mezzo autonomo e completo di espressione grafica e plastica”.

Convince il padre ad acquistargli una macchina importante, come desidera, ma si limita a scatti duranti i mesi estivi riprendendo paesaggi o ritratti. “il tempo della fotografia non era ancora venuto”.

Nel 1930 si laurea in Economia Politica e intraprende la carriera di dirigente industriale e commerciale presso il Gruppo Montedison, poi divenuta Montecatini. Dopo la fine della seconda guerra mondiale assume la direzione del Consorzio Agrario provinciale di Venezia . La fotografia fino ad allora era rimasta per Monti uno svago nei momenti di relax, un passatempo domenicale, ma l’incontro con Venezia cambia radicalmente questa sua posizione. Lui stesso racconta: “questa mia passione è legata a Venezia. Città che è soprattutto un luogo dello spirito, un modo di vivere,un sogno realizzato”.

In questa città frequenta altri fotografi appassionati e con loro instaura rapporti importanti ed amicali, determinanti per le scelte di vita future. Vanno ricordati il negozio dei fratelli Pambakian e Ferruccio Leiss, che divenne uno dei promotori de “La Bussola”. Monti fu il primo a sottolineare il valore dell’opera, soprattutto teorica, di Cavalli e di aver con il gruppo de “La Bussola” contribuito a diffondere una coscienza estetica.

Orietta Bay
 
Legenda delle didascalie delle immagini:
le immagini che non portano nella didascalia il nome dell’autore sono di Paolo Monti.
 
Bibliografia: “Paolo Monti – Scritti scelti 1953-1983”
“Paolo Monti – Fotografie 1950-1980” a cura di Giovanni Chiaromonte
Supplemento a “Fotografia italiana” n° 228 – luglio-agosto 1977
Il Milanese – Giugno 2013 – Federico Vender (di Cesare Colombo)
 

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