Storico della fotografiaEventi di studio della fotografia

MANIFESTI VIRTUALI_ 05.1 – di Monica Mazzolini

 
 
 
 
 
 
 

Laboratorio di Storia della fotografia
LAB Di Cult 025 FIAF, coordinato da Monica Mazzolini

I Preraffaelliti, il Pittorialismo ed il Simbolismo

 
Prima parte
In Inghilterra, durante la lunga epoca vittoriana (1837-1901) si assiste ad un periodo di stabilità, ricchezza ed espansione economica, commerciale, industriale e coloniale con non pochi problemi sociali a causa del forte divario tra l’ascesa della classe media ed il forte malessere per quelle meno abbienti. Nel mondo dell’arte – per cercare di superare l’impasse creativa causata delle convenzioni accademiche (la borghesia voleva un’arte che rispecchiasse l’epoca industriale nella quale era cresciuta) – si ha un crescente interesse nei confronti della bellezza e del misticismo. E’ proprio in questo contesto che nel 1848 a Londra viene fondata una corrente artistica chiamata Pre-Raphaelite Brotherhood (Confraternita dei Preraffaelliti) i cui padri sono Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Hunt e Ford Madox Brown. Seppur confinata in Gran Bretagna e di breve durata (si scioglierà nel 1854), influenzerà le avanguardie artistiche europee compresi il movimento Arts and Craft, il Simbolismo, l’Art Nouveau e non in ultimo la, allora “giovane”, fotografia. I Preraffaelliti rifiutano il Rinascimento che trovava in Raffaello l’esponente più tipico; le loro intenzioni poetiche e stilistiche si rifanno all’epoca tardo-medioevale, in particolare alla spiritualità e allo stile tardo gotico e primo rinascimentale. Sogno, mito e bellezza sono le tematiche principali che diventano il “manifesto programmatico”.
I dipinti dei preraffaelliti sono sensibili alla natura, ricchi di colore, simboli e riferimenti letterari traendo ispirazione dalla mitologia e dagli scritti di Keats, Tennyson, Shakespeare e Dante. Per citare un paio di esempi senza voler troppo addentrarmi nei dettagli ricordo due opere che sono icone di questo movimento: L’Ophelia (1851-1852) di Everett Millais e la Beata Beatrix (1863) di Dante Gabriel Rossetti.
 
A sinistra: Ophelia (1851-1852) di Everett Millais che riprende la tragedia “The tragical history of Hamlet, Prince of Denmark” di William Shakespeare.
A destra: Beata Beatrix (1863) di Dante Gabriel Rossetti, la fonte letteraria che è servita da spunto al dipinto è la Vita nova (1293-1294) opera di Dante Alighieri  dedicata al suo amore giovanile per Beatrice Portinari, in questo caso l’opera è dedicata alla moglie del pittore Elizabeth Siddal. 
Tra gennaio e maggio del 1850 escono quattro numeri della rivista d’arte e lettere “The Germ: Thoughts towards Nature in Poetry, Literature, and Art”. La missione – come già si evince dal titolo e come scritto alla fine di ogni numero – era: “Questo periodico è nato con lo scopo di acquisire i pensieri degli artisti, relativi alla natura in relazione all’arte […]. Perciò, per questa ragione, non è aperto alle opinioni contrastanti di tutti coloro che impugnano il pennello e la tavolozza, e neppure è limitato ai professionisti; ma ha lo scopo di enunciare i principi di coloro che, nel vero spirito dell’Arte, sostengono una stretta adesione alla semplicità della Natura sia nell’Arte che nella Poesia […]”. Le scarsissime vendite (delle 700 copie stampate del primo numero ne furono vendute solo 70) costrinsero ad interrompere le pubblicazioni della rivista.
Spesso contestati e criticati i Preraffaeliti, ricevono un importante supporto dal lungimirante critico d’arte John Ruskin (anche sostenitore della fotografia “la più sublime invenzione del secolo”) che nel 1851 attraverso il saggio intitolato “Preraphaelitism” ed un paio di lettere scritte al Times prende le difese di questa moderna arte, come viene da lui stesso definita. Scrive: “Egregio Direttore, confido che, con la Vostra abituale liberalità, vogliate concedere spazio, entro il Vostro giornale, all’espressione del mio rammarico riguardo al tono, sprezzante oltre che severo, della critica apparsa sul “Times” di mercoledì scorso in merito alle ultime opere di Millais e Hunt in mostra presso la Royal Academy” (pubblicata il 13 maggio 1851 sul Times).
A sinistra: primo numero della rivista The Germ (data di pubblicazione: 1 Gennaio 1850) Nella prima pagina di ogni numero è scritto: “When whoso merely hath a little thought / Will plainly think the thought which is for him, – Not imaging another’s bright or dim, / Not mangling with new words what others taught; / When whoso speaks, from having either sought / Or only found, – will speak, not just to skim / A shallow surface with words made and trim, / But in that very speech the matter brought: / Be not too keen to cry -“So this is all! – A thing I might myself have thought as well, / But would not say it, for it was not worth!” / Ask: “Is this truth?” For is it still to tell / That, be the theme a point or the whole earth, / Truth is a circle, perfect, great or small?”. Gli altri numeri usciranno il 31 gennaio, il 31 marzo ed il 30 Aprile.
A destra: la prima pagina del saggio intitolato “Preraphaelitism” di John Ruskin (1851).
Molto legata ai preraffaeliti (sia da amicizia che poetica) è la fotografa Julia Margaret Cameron (1815-1879) che nel 1874 pubblica “Gli annali della mia casa di vetro” in cui scrive: “Desideravo fermare tutta la bellezza che avevo davanti e con il tempo questo desiderio è stato soddisfatto. La difficoltà accresceva il valore del proposito. Iniziai senza conoscere nulla dell’arte. Non sapevo come posizionare la macchina come mettere a fuoco il mio modello e con mia grande costernazione cancellai la mia prima fotografia sfregando la mano sulla superficie della lastra. […] Ho trasformato la carbonaia in camera oscura e la casetta con finestre dove si tenevano i polli che avevo dato ai miei bambini è diventata la mia casa di vetro il mio atelier. […] tutti simpatizzarono anima e corpo con il mio nuovo lavoro da quando la compagnia delle galline e dei pulcini si trasformò in quella di poeti profeti pittori e amabili fanciulle tutti a turno immortalati nella piccola costruzione di campagna”. E ancora scrive: “Chi ha il diritto di dire quale messa a fuoco sia quella giusta? La mia aspirazione è quella di nobilitare la fotografia e di assicurarle il carattere e le qualità di una grande arte, combinando insieme il reale e l’ideale e nulla sacrificando della verità, pur con tutta la possibile devozione alla poesia e alla bellezza”.
Come nell’opera di Rossetti, anche in quella della Cameron prevale su tutto la figura femminile. In entrambi, la donna viene idealizzata attraverso l’enfasi della posa e il trattamento delle lunghe chiome ma nelle fotografie della Cameron la caratteristica principale sarà l’uso dello sfuocato. Cercava di rappresentare un mondo di fantasia, insieme onirico e poetico. Il suo immaginario personale era intessuto di allegorie, simboli, riferimenti a storie bibliche e opere letterarie. Le sue immagini, intenzionalmente fuori fuoco, spesso graffiate o macchiate dagli acidi di sviluppo, venivano da lei realizzate e stampate sovvertendo le regole tecniche convenzionali e per questo le furono riservate anche dure critiche: “Quando mettevo a fuoco e mi accostavo a qualcosa che, ai miei occhi, era molto bello, mi fermavo lì, anziché stringere la lente per ottenere il fuoco più definito su cui insistono gli altri” in modo da ottenere un ritratto come “una finestra dell’anima”. La tecnica come strumento per rappresentare la realtà nella maniera più fedele possibile non la interessava, ma imparò a padroneggiarla per i propri scopi, costantemente impegnata nella sperimentazione e nella ricerca per ottenere gli effetti desiderati. Nel ritrarre i suoi soggetti, dava un’interpretazione idealizzata della loro personalità, utilizzando un linguaggio stilistico affine a quello dei pittori preraffaelliti e simbolisti.
 
La fotografia “Pomona” (1872) di Julia Margaret Cameron (a destra) ricorda la “Bocca baciata” (1859) di Dante Gabriel Rossetti (a sinistra).
 
I wait (1872) di Julia Margaret Cameron. 
 
Venus chiding cupid and removing his wings (1872) di Julia Margaret Cameron.
 
The passing of Arthur (1875) di Julia Margaret Cameron.

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Un commento

  1. Leggete le parole di Margaret Cameron e scoprirete che è una di noi! Ha iniziato non sapendo niente e aveva un immaginario creativo straordinario. Ha difeso la sua soggettività con un vigore insolito per una donna del suo tempo.
    Il tornare su storie del passato ci rende consapevoli di come le trame esistenziali si ripetono, anche se in altre epoche e con altre voci ma l’essenza della poetica resta quella e la Cameron ce l’ha rivelata.
    Monica Mazzolini ci accompagna a scoprire altre tensioni artistiche con una sintesi potente e il profumo inebriante dell’essenziale.

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