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LA FINESTRA – di Giorgia Nodari
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La fotografia, con il suo essere effimera ed eterna, è la mia finestra verso il passato.
Uno sguardo alla mia infanzia con i piedi ben saldi nel presente.
Lo stesso luogo, gli stessi occhi, ma la vita che scorre nel mezzo.
Giorgia Nodari
LA FINESTRA
di Giorgia Nodari
“La Finestra”, di Giorgia Nodari, è un’opera animata da un’idea concettuale per aver generato significati attraverso un concept applicato coerentemente nelle immagini.
Può sembrare un gioco semplice e didascalico quello dell’inserire una vecchia fotografia, presa nell’album di famiglia, in un’altra foto scattata oggi dallo stesso punto ripresa.
Spesso l’opera concettuale è generata da un meccanismo elementare ed evidente, ma il suo significato non si esaurisce nella reazione emozionale che promuove il vedere l’immagine creata in tal modo. L’opera concettuale si legge in gran parte con la logica.
Nella gabbia concettuale che è ripetuta nelle immagini, vengono toccati i legami che l’imagine fotografica intrattiene con la realtà: impronta, icona, spazio, tempo. Ogni volta che si mettono in gioco questi legami viene generata un’opera densa di senso.
L’impronta è il legame con la vita concreta della bimba e della scena ritrovata. L’icona è la parte narrativa che mostra il mutamento e la somiglianza della scena nei due lontani attimi di tempo in cui è ripresa. Lo spazio che offre la scena ritrovata a distanza di tempo ha qualcosa di magico. Il tempo distino dei due scatti fotografici che misura lo scorrere della vita del soggetto.
Questo concept, in genere, è applicato spesso per mettere in moto la memoria fornendo all’immaginazione elementi formidabili. Nonostante siano immagini private, ognuno di noi immagina di potersi vedere nello stesso modo in qualche angolo della propria città.
Complimenti a Giorgia Nodari per l’efficace realizzazione e per lo spirito di condivisione che l’anima nel praticare la fotografia.
” La finestra” di Giorgia Nodari è un’opera densa di malinconia , strutturata sull’onda del ricordo generato dalla riesumazione di fotografie pescate dall’album di famiglia. Il riandare negli stessi luoghi che si sono frequentati molti anni prima, portandosi dietro la prova tangibile di quella frequentazione,è come aprire una finestra spazio temporale nella propria vita, bloccare il trascorrere del tempo.
Giorgia fa tutto questo con una semplicità disarmante, ma in modo molto efficace, anche se a mio parere il b/n avrebbe giovato molto di più a rendere meno evidente lo scarto temporale. Complimenti vivissimi a Giorgia.
Giorgia in questo lavoro mescola il passato col presente. Il suo passato di bambina che è cresciuta e nel presente è diventata donna e il passato dei luoghi in cui ha vissuto che oggi non sono poi tanto diversi da ieri. In fin dei conti sembra, dalla freschezza della mano che sorregge le foto, che non sia lungo il tempo trascorso fra quel passato e questo presente. Mi sembra che con l’operazione non cerchi di far rivivere un tempo andato, ma di sottolineare quanto quel passato sia parte integrante del suo essere, della persona che è oggi. Interessante sarebbe a mio avviso proseguire negli anni il lavoro, sostituendo alle foto da bambina foto in cui appare via via sempre più matura. Questo per stabilire un parallelo tra i cambiamenti dei luoghi e i suoi cambiamenti. In fin dei conti quasi tutti noi nasciamo, cresciamo, viviamo e invecchiamo negli stessi luoghi e questi luoghi cambiano proprio come noi, insieme a noi, e sono fin dall’inizio della nostra vita una parte importante, direi fondante, del nostro essere. I cambiamenti che si verificano nell’ambiente in cui viviamo si ripercuotono inevitabilmente su di noi e sul nostro modo di vivere e pensare. Noi stessi produciamo cambiamenti dei luoghi della nostra vita. E allora ripensare a come sono mutati i luoghi in cui si è vissuti, significa interrogarsi sui propri cambiamenti e produce inevitabilmente un senso di nostalgia che porta a interrogarsi sullo scorrere del tempo e sul suo significato. In definitiva sul senso dell’esistenza umana.
L’autrice scegliendo la parola “finestra” come titolo ci riporta all’ elemento architettonico che tutti noi ben conosciamo. ‘La finestra ci permette di osservare cosa c’è fuori pur restando dentro, diversamente dalle porte che rendono più vulnerabile l’accesso. Quando si è sulla porta si può restare per poco tempo sulla soglia, in quella situazione precaria che non è dentro né ancora fuori. Ed esige un passo, in avanti o indietro. Con la finestra invece è possibile sostare. Affacciarsi su uno scorcio di mondo e semplicemente osservare: lasciandosi vedere o nascondendosi alla vista altrui dietro una tenda, scegliendo di aprire i vetri e lasciare entrare i profumi, le luci, i colori e i suoni del mondo fuori oppure chiudendoli e con loro le imposte, impenetrabili filtri per restare isolati.’
L’opera può esser definita concettuale, con rimandi chiari tra il passato ed il presente, senza utilizzare strumenti di postproduzione ma inserendo la propria mano come elemento di connessione.
Giorgia, con questo modus operandi, ci mostra il suo esser ben congiunta con il presente ma ci fa conoscere luoghi della sua infanzia e della sua memoria. Ci racconta i suoi ricordi attraverso l’inserimento di immagini di quando era bambina. La memoria è la facoltà della mente di fare proprie esperienze ed immagazzinare nozioni per poi richiamarle al momento opportuno. La memoria è un’attività cognitiva (cioè del nostro cervello) molto complessa che è frutto di uno studio continuo delle notizie da ricordare. Il fatto che sia un’attività cognitiva non significa però che sia un qualcosa di totalmente staccato dalle emozioni. Per certi aspetti, si può dire che noi siamo la nostra memoria. Tale aspetto pone subito in evidenza il fatto che la memoria non è la fotocopia della realtà. Non è la fotografia della storia. Essendo una elaborazione, ricostruzione e conservazione attiva delle informazioni, essa implica, in ogni caso, un certo grado di distorsione rispetto a una ripresa oggettiva (qualora ci fosse) dei fatti e degli oggetti.
Direttamente collegato alla memoria c’è il ricordo, che deriva invece dal latino “re-cordor” e significa “richiamare al cuore”. E’ quindi un termine attinente a un diverso campo semantico, quello dei sentimenti più che della ragione, ed è decisamente più individualistico e più soggettivo. Implica inoltre una sorta di filtro, in base al quale alcune esperienze del passato rimangono vividamente più impresse rispetto ad altre e riaffiorano quando meno ce l’aspettiamo. Talvolta rievochiamo tali fatti per trarne conforto e seguiamo quella sensazione come a riaprire un determinato capitolo di un libro, sfogliando foglio dopo foglio fino ad arrivare ad una specifica frase (ricordo).
La macchina fotografica e la fotografia hanno questo potere: immortalare momenti. E’ grazie anche alle immagini che tornano alla memoria i ricordi di eventi, luoghi, persone ma anche odori e suoni.
Giorgia ci presenta 6 immagini singole ognuna delle quali è una micro storia. La metafora della memoria come armadietto ci aiuta a capire il fatto che per ricordare occorre innanzitutto saper organizzare le informazioni che apprendiamo e successivamente occorre saper andare a recuperarle nel posto giusto. Si tratta di due diversi momenti, quello della memorizzazione e quello del ricordo.
In questo lavoro l’autrice ha svolto questa operazione, ossia connettere luoghi del presente con i medesimi luoghi dove ha trascorso da bambina alcuni momenti dei vita.
(fonti: Virginia Cioni, psicologa e psicoterapeuta – Serena Costa, psicologa – Silvio Raffo)