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SARO DI BARTOLO

la bellezza del mondo

La “Kodak Brownie”, una scatolina nera di bachelite, poco più di mezzo secolo fa, era un giocattolo fotografico, una “box camera” molto amata dai bambini americani. Saro Di Bartolo, cresciuto negli Usa, ne ha per le mani una quando aveva dieci anni.  Scopre subito che è qualcosa più di un trastullo infantile. Ci gioca, esperimenta, e prova anche a mettere, a una determinata distanza davanti alla lente gli occhiali da vista della madre… Inventa così l’obiettivo macro! A cosa possa servire la macchina fotografica lo capisce immediatamente quando a casa il padre porta la copia di LIFE con il servizio sui funerali del presidente Kennedy: «Entrò in casa mia e nel mio mondo – dirà Di Bartolo – un genere di immagini in bianco e nero che non avevo visto prima, e la curiosità fu davvero tanta. È iniziato tutto da qui, poi col tempo sono divenuto via via un “fotoamatore evoluto”.»  Gli altri passi che lo porteranno al professionismo li compirà in Italia, quando la famiglia lasciò gli Stati Uniti.

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Nel 1977 diventa socio FIAF e nel 1980 fa parte del Fotoclub di Rimini (è vicepresidente) che quell’anno organizzò il 32° congresso della Federazione. Da Rimini si guarda intorno, ed inizia a girare il mondo, mostrando subito un eclettismo fotografico.  «Penso che l’unico modo per sentirsi un fotografo completo – dice Di Bartolo – è di intraprendere un sentiero che passa attraverso i più diversi mondi di quest’arte e poi magari specializzarsi nel genere in cui si è più portati, quello in cui si ottengono i risultati più lusinghieri. Acquisita una certa padronanza con una determinata tipologia di fotografia, iniziare a sperimentarne un’altra… e poi ricominciare ancora e ancora.»

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E così, in tutti gli angoli del mondo dove s’è fermato declina la sua fotografia in tanti modi diversi. Cambia l’occhio con le ottiche per vedere e fermare le cose. Il paesaggio, il reportage, la street photography, i dettagli, la foto naturalistica, la fotografia astratta. Tutto il mondo, visto sempre in modi diversi. Pezzi della realtà, grandi come una fotografia. La scelta dell’ottica per decidere lo sguardo fotografico. In pratica, scegliere con quale occhio guardare gli animali, gli uomini, le cose.

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Ama i dettagli: «Il cosmo che ci ruota intorno – spiega – è un continuo e irrefrenabile mescolarsi di curve e rette che si affiancano, corrono insieme parallele, si separano, imbizzarriscono, si intersecano, si scompongono e si ricompongono, creando così accostamenti e melodie, ombre e contrasti di colore. Bisogna fermarsi, aspettare, spesso con infinita pazienza, e catturarle nel punto giusto al momento giusto, né una frazione di secondo prima, né una dopo. È così che tento di “dipingere” qualche verso di poesia sulla pellicola.» Un’altra ricerca che ama è l’architectural photography, che gli ha permesso – dice – «di tradurre in immagini soggetti fotografici d’autore, frutto ed espressione della creatività di architetti, famosi e sconosciuti, e di cimentarmi a raccontare le loro opere con l’uso della tecnica fotografica della prospettiva controllata, mettendo così a fuoco, sia il primo piano che lo sfondo.» Altri progetti sono a dir poco singolari, come “Nine Seasons” che lo ha impegnato per cinque anni. Tutti spesi per realizzare nove immagini: «Si tratta scatti dello stesso scorcio di paesaggio, inquadrato esattamente dallo stesso punto ed in maniera identica, durante le diverse stagioni dell’anno, con le più diverse condizioni meteo… ovviamente a distanza di tempo.»

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Convinto che la fotografia sia messaggio del bello e strumento di integrazione, Di Bartolo ha aderito al progetto “Arts in Schools” della Besharat arts Foundation. L’idea è semplice, ma estremamente impegnativa. Con questo programma, il mecenate americano Massoud Besharat porta l’arte nelle scuole. Sono adesso 304 in tutto il mondo, alle quale sono state donate 18.000 opere tutte in grande formato di importanti fotografi. Saro Di Bartolo, con le sue fotografie, è insieme a Steve McCurry, Simon Lister, David Lazar, Hartmut Schewarzbach, soltanto per citare qualche nome. «La capacità di comprendere i sentimenti degli altri – sostiene Besharat – è fondamentale per i futuri custodi del nostro pianeta e di tutta la vita su di esso. Il nostro metodo è semplice. Sotto forma di immagini di bambini da tutto il mondo, portiamo l’arte nelle scuole nella speranza che il contatto quotidiano con la bellezza stimolante aiuti i bambini ad acquisire un livello più profondo di comprensione ed empatia verso il prossimo ed in particolare verso chi non ha avuto la fortuna di nascere in una società prospera.»

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(Giovanni Ruggiero)

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4 commenti

  1. Conosco Saro da qualche anno ed ancora non finisce di sorprendermi per la vastità del suo repertorio, per gli argomenti immortalati, per le cromie che infondono a volte spensieratezza e voglia di vivere. A volte dolore e sofferenza che fa pensare come si è condizionati nel bene o nel male a secondo del luogo dove si nasce. La sua duttilità è impressionante, passa da un argomento all’altro, da una parte del mondo all’altra, con una facilità e maestria che sorprende e lascia attoniti. Perché la sua fotografia rapisce, incanta, coinvolge. Quindi tanti complimenti e ancora tanta buona luce carissimo Saro!

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