Jessica Cammarata è una giovane psicologa palermitana, appassionata da quando ha memoria di fotografia. Lavoro permettendo, prende e va. E torna con un reportage. È appena tornata dall’India. Ha disfatto le valige ed ha scaricato le “memory card” sul computer che contengono centinaia di file e di emozioni.
Ha così iniziato a rivivere il viaggio.
Fa sempre così quando torna.
«Il genere fotografico in cui mi identifico maggiormente – dice – è la fotografia di reportage, nel mondo ma soprattutto per le strade nella mia città, Palermo.
Amo profondamente il bianco e nero. Ho sempre ritenuto il colore un fattore distraente nei confronti del contenuto della foto che riveste per me un valore prioritario rispetto a tutto il resto. In particolare, mi diverto a raccontare storie attraverso il legame che si crea tra il soggetto ed il contesto all’interno del quale esso è inserito.»
Gli avrà dato ascolto, oppure – chissà! – è arrivata da sola alla stessa considerazione di Robert Capa? Se una vostra foto non vi piace – avvertiva il celebre reporter – è perché non eravate abbastanza vicini. In tanti cominciarono a sostituire sulle prime Leica il 35 millimetri al 50.
Jessica Cammarata, ancor più audace, ha scelto il 24 millimetri che non è un obiettivo facile, ma di sicuro – come dice – è il suo miglior alleato: «Sono stata da sempre amante delle ottiche fisse. – precisa – Ho trovato l’obiettivo che più mi si addice in questo grandangolo: una lente che mi permette di contestualizzare quanto più possibile il soggetto nel suo ambiente, costringendomi spesso a fare qualche passetto in più ed immettermi nella scena, cosa che trovo parecchio stimolante.» Ecco, appunto, un passo avanti in più incontro al soggetto. In questo modo l’ottica esprime addirittura un’empatia più che una vicinanza fisica al soggetto.
Le storie ordinarie colte a Palermo, in altri luoghi della Sicilia, o in Marocco e adesso in India, hanno, viste così da vicino, un qualcosa di condiviso e di approvato. approvato.
La presenza dei bambini nelle sue fotografie è una costante. Gli sguardi dei più piccoli sono una sorta di trama comune delle sue immagini, siano colte nella sua Palermo che nell’India lontana. «Nella mia vita – dice Jessica Cammarata – ho fatto tanti lavori, molto diversi tra loro, ma credo che il filo conduttore sia il contatto coi bambini. I bambini mi piacciono perché sono imprevedibili. Ed anche in fotografia è così. Con loro è una sfida costante. Fotografarli è una sorta di cimento. Sai che da un momento all’altro può accadere qualsiasi cosa ed è questa cosa la più divertente. E tu sei lì, in attesa. Il risultato è come se fosse un regalo. Poi i bambini non hanno filtri, non si sentono in dovere di apparire in un certo modo davanti alla fotocamera, sono puri, autentici, sfrontati. Ed amano riguardarsi, come se la fotografia fosse una vera magia.»
Ma anche sguardi di anziani, sguardi di fatica, sorrisi che ricambiano nella consapevolezza di finire in un ritratto. La gente si concede alla sua macchina fotografica. Jessica Cammarata crea una vicinanza non tanto per quell’ottica tanto amata, ma per l’amore che nutre per gli altri diversi da sé.
Testo di Giovganni Ruggiero