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Avviata la collaborazione con il magazine CITIES

Prende il via da questo numero la collaborazione fra CITIES (sfogliabile qui: https://issuu.com/isp-italianstreetphotography/docs/cities6) e la FIAF, la cui redazione social curerà di volta in volta una selezione critica di quattro Storie D’Autore.

Lo scouting di questo avvio è affidato a Susanna Bertoni, Antonio Desideri, Giuseppe Scalora e Debora Valentini, il cui criterio di selezione è ispirato alla capacità degli Autori di interpretare e raccontare il contemporaneo urbano attraverso un’articolazione narrativa vicina allo storytelling, piuttosto che con il singolo scatto: luoghi, atmosfere, storie minime e tutto ciò che possa contribuire a fare emergere elementi di decodifica del mondo in cui siamo immersi come i pesci che non sanno dell’acqua, e che al tempo stesso esplorino espressioni linguistiche lontane dagli stereotipi visuali di genere. Il che, con un percorso a ritroso, rimanda ad un ulteriore senso riferibile al titolo di questa sezione, che ospita storie in cui il “come” del raccontare racconti al tempo stesso qualcosa di chi è dietro il mirino.

Così, attraverso i lavori di Jonathan Higbee, Stuart Paton, Marietta Varga e  Giedo Van Der Zwan si suggerisce un percorso di intrecci che nel declinare tematiche dai numerosi punti di contatto, da un’apparente classico linguistico si apre alla sperimentalità.  Se ad un primo sguardo le “Coincidences” di Jonathan Higbee appaiono come un modello di genere, quelle “fugaci giustapposizioni e intersezioni assumono in realtà nuovi significati e nuova vita”, rileva Antonio Desideri, divenendo – nella stratificazione temporale – la trama di un diario urbano lungo una vita, che partecipa al racconto corale di una metropoli già così esageratamente iconica come New York.

Ma il luogo come spazio del ricordo, oltre che del vissuto, è anche il tema dei lavori di Giedo Van Der Zwan e Marietta Varga, ciascuno esemplare di declinazioni coerenti con un’idea narrativa: se i toni di quest’ultima, che Giuseppe Scalora definisce “pastello, desaturati, quasi evanescenti” si prestano ad esprimere con grande efficacia una dimensione intima, legata all’adolescenza dell’Autrice ancor prima che alle vicende storiche della città di Siófok, altrettanto felice è la scelta dal colore urlato di Van der Zwan, che al ricordo dei luoghi della propria infanzia contrappone il disincanto dell’ironia rispetto all’avanzare di un modello socioeconomico omologante, come sottolinea Debora Valentini nell’accostamento a Martin Parr.

Infine, Stuart Paton, attraverso il quale Susanna Bertoni propone il linguaggio di una “fotografia street che sconfina nel surrealismo”, dove “tutto è nitido eppure sfuggente”, e i luoghi metropolitani divengono stranianti, teatro dell’inquietudine e del disagio esistenziale.

Un intreccio, si diceva, che ricorre al personale per una visione decodificatrice del contemporaneo, in ossequio alla consapevolezza che senza memoria si è ridotti a spettatori passivi del presente, incapaci di interpretarlo e rappresentarlo: “reminisco, ergo sum”, come la declina Franco Ferrarotti con grande felicità di sintesi. Ma c’è un ulteriore livello di proposta nella selezione di questi lavori, che per quanto aleggi come un non detto, attiene alla sfera della riflessione teorica: esiste davvero, nel raccontare, una differenza fra “serie” e “portfolio” che non sia semplice artificio da contest?

Ancora una volta, le “Coincidences” di Jonathan Higbee sembrerebbero allontanarsi, in una lettura limitata ad una ristretta selezione di immagini, dall’articolazione che caratterizza il portfolio, segnando la differenza con la serie il cui elemento distintivo dovrebbe risiedere in una qualche forma di omogeneità, che sia tematica, di ripresa o di altro genere. Se però – come in questo caso – quella serie assume un’estensione temporale che vale a conferirle dimensione di ricerca, ecco che in questa diversa prospettiva non si può non parlare di racconto – o di storytelling, detta in maniera cool -, come del resto accade in Smoke, il citatissimo film di Paul Auster. Così come per Higbee, con Auggie, il protagonista del film, siamo dinanzi al racconto di una vita, fatto di 4.000 fotografie realizzate nel corso di 14 anni che riprendono tutte lo stesso angolo di strada newyorkese: “È il mio progetto. Quello che puoi chiamare il lavoro della mia vita. È la documentazione del mio angolo”. Il che introduce un’ulteriore riflessione sulla coincidenza fra progetto autoriale e foto documentaria, ma questa la rimandiamo ad una prossima. Qui interessa rilevare come sia la libertà di linguaggio, il modo cioè di raccontare una storia, piuttosto che una qualche caratteristica rappresentativa rintracciabile nelle foto, oggetto di distinguo: in altri termini, ammesso che le categorie servano a qualcosa, le modalità “serie” e “portfolio” sono definibili in assoluto, o il loro “inquadramento” non dipende forse dal contesto più che dalla forma in cui si presentano?

Higbee sta li a dirci che alla lunga tutto si compone, e che perciò sarebbe bene non arrischiare degli assoluti, sebbene nel caso degli altri Autori sia più facile cadere in tentazione.

Se in Giedo Van Der Zwan la forma di presentazione è la serie, all’interno della quale la struttura narrativa coincide con un luogo che ne rappresenta l’omogeneità tematica, nella Varga il racconto si dipana nella combinazione fra le scelte rappresentative di un’architettura minimale, del dettaglio che funziona cioè come la Madeleine di Proust, e il linguaggio di cui abbiamo già detto. Quanto a Paton, il racconto aderisce esattamente al linguaggio usato, e sebbene ogni singola foto potrebbe vivere comunque di vita autonoma

– come del resto in altri lavori -, in questo caso si rischierebbe l’enfasi su una dimensione estetica lontana dal senso d’insieme.

La relatività e il dubbio sono dunque il nostro mantra, che ci inducono la consapevolezza che quella proposta è solo una delle letture possibili, diverse a seconda delle coordinate con cui ci si orienta; ma è questo percorso di ricerca, che si muove per sconfinamenti fra tematica e declinazione linguistica, che segnerà il senso della nostra proposta critica. Alla prossima!

Attilio Lauria

Direttore Redazione FIAF Social

 

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