Il suo nome non porta propriamente alla Scozia, ma certamente al Nord: «Molto a Nord», precisa il giovane fotografo Robbie McIntosh che da molti anni vive a Napoli. Si è calato nello spirito della città che l’ha accolto e presto, nella sua ricerca fotografica, si è messo a rappresentarne la marginalità, e di certo quanto è più lontano dall’immagine cartolina.
Ė un “fotografo di strada” – la definizione è sua – e, come tale, scarpinando ha scelto le periferie per territorio di caccia. Quelle abbandonate, quelle anomiche, quelle rassegnate, quelle slabbrate in cui sembrano impossibili i rapporti. Sono le periferie dello sterminato hinterland napoletano, in cui la conurbazione ha legato tutte le case senza soluzione di continuità.
Ma, per fortuna, in fondo c’è il mare: basta andare verso Ovest, dove il paesaggio diventa ampio e pare, pur nel triste abbandono delle spiagge d’inverno, di riprendere respiro.
È quanto appare nelle sue fotografie di “Topographic State of Mind”, uno dei progetti ai quali lavora dal 2012. Inserito poi in questa ricerca si innesta un altro lavoro sulla presenza del sacro in questi spazi di degrado. Ė nato così “SantaNapoli”. Ecco allora le Madonne, i tanti Padre Pio o le statue del Cristo, gigantesche e spudoratamente kitsch: «É una sorta di spin-off della serie delle periferie. – spiega il fotografo – Un paragrafo, o forse un capitolo, se vogliamo, nato spontaneamente. Mi colpisce la maniera con cui queste statue sono calate nel contesto, quasi sempre periferico, tra le case popolari di rioni spesso di dubbia fama. Sono parte integrante e, oserei dire, integrale del paesaggio, e con esso invecchiano.»
E però sono presenze quasi estranee, spesso abbandonate alle intemperie: una religiosità popolare, certamente sentita, ma ostentata e non palpitante.
Robbie McIntosh fotografa con la pellicola. La sua borsa fotografica contiene cimeli che ha recuperato e reso perfettamente funzionati. La Polaroid, quando è il caso, ma soprattutto una Hasselblad con un 50 mm Zeiss, poi la vecchia signora Rolleiflex e, per il piccolo formato, un paio di Leica d’antan con le mitiche ottiche pre-asferiche 28 e 35 millimetri. Le foto pubblicate sono state fatte essenzialmente con una Mamiya RB 67Pro S con il 65mm.
«Mi piace – dice – la fisicità del supporto analogico. Ma non basta, voglio gestire integralmente il processo fotografico: dalla concezione allo sviluppo.»
testo di Giovanni Ruggiero
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