La morbosità dello sguardo
Proseguiamo il nostro giro di opinioni sulle foto wow con un contributo di Mignon.
Attilio Lauria
“Alla manifestazione FIAF di Genazzano – Roma di alcune settimane fa è stato discusso un tema di particolare interesse, definito “Foto WOW!”, prendendo spunto da un’intervista al nostro collettivo Mignon pubblicata sul blog di Alex Coghe.
Eccone un estratto: “pensiamo ai festival e awards di Street Photography che privilegiano un’estetica ed approccio hardcore, con chiari riferimenti al lavoro di Alex Webb e Martin Parr. Io la definisco fotografia fashionista, che molte volte è fine a sé stessa: sia chiaro il mio riferimento non è a Webb né a Parr ma ai loro imitatori. Sono foto che puntano tutto sulla spettacolarità, sull’effetto wow, ma quanto durano?”.
Attilio Lauria ci chiede un contributo di approfondimento in merito, e noi lo proponiamo volentieri: di questa questione ci siamo già ampiamente occupati nel 2015, quando abbiamo proposto una mostra presso Villa Bassi ad Abano Terme, dal titolo provocatorio “THIS IS STREET PHOTOGRAPHY. Respect Others – No Web – No Flash!”. Il titolo ed il testo di presentazione della mostra hanno, allora, suscitato molte polemiche; il fatto che a distanza di cinque anni le questioni allora sollevate trovino l’interessamento di altri fotografi, ci fa pensare di non essere stati “fuori strada” dopotutto!
Per chi volesse rileggerlo, è pubblicato a questo indirizzo:
www.mignon.it/this-is-street-photography-respect-the-others-no-web-no-flash/
In merito all’argomento delle “Foto WOW”, riteniamo quindi che il fenomeno sia non solo presente, ma anche preponderante, in voga soprattutto nel Web e nei Festival fotografici.
Possiamo dare questo appellativo a tutte le fotografie che ricercano un effetto, compositivo/visivo o di contenuto, di impatto tale da suscitare un immediato effetto “di pancia”, e quindi che si pongono allo sguardo del fruitore ricercando una certa spettacolarizzazione. Del resto, nel mondo contemporaneo e nella società di oggi l’effetto WOW è purtroppo alla base di un sistema comunicativo, aggressivo e massificante, che si basa su effetti legati ad una emotività immediata e di scarso spessore. Si pensi ad un certo tipo di Talk televisivi, ai programmi “spazzatura”, alla pubblicità e a molta comunicazione che si riversa sui social-network.
In fotografia, questo tipo di atteggiamento sottende una certa morbosità dello sguardo, che porta ad intendere “l’altro” come “diverso”, come “soggetto intrigante”, come oggetto di uno “sguardo” che non vuole capire e conoscere ma che osserva senza vedere. La fotografia così rischia di ampliare le distanze più che ridurle, perchè riporta l’eccezionale ad una condizione di normalità e banalizzazione, in chiave svilente.
Nella Street Photography in particolare, questo atteggiamento si traduce nella ricerca di “cose strane”, “fatti strani”, “gesti stravaganti”, … tralasciando ogni ricerca di poesia, pathos, lirismo, fino al paradosso, se si parla di fotografia di strada, di tralasciare l’Uomo in quanto tale, cercando invece solo stranezze e coincidenze visive (di forma, cromatiche, gestuali).
Peraltro, anche gli autori e storici “di fama” sembrano considerare preoccupante questo fenomeno. Nell’ultima edizione di Bystander (il libro di Meyerowitz e Westerbeck che per primo ha tentato una storicizzazione della Street Photography), è stato inserito un nuovo capitolo intitolato “Now and then: in defense of traditional Street Photography”, nel quale gli autori criticano le declinazioni che il genere sembra aver assunto negli ultimi anni, prendendo le distanze rispetto a proposte che si allontanano dai tradizionali valori estetici d’intuizione, invisibilità e spontaneità.
Per concludere, sembra che la fotografia di strada stia perdendo di vista il suo obbiettivo principale: raccontare l’uomo nel suo tempo.”